Nell’immagine Monica Bellucci, vincitrice del Premio Stella della Mole al 39° TFF.
Fonte: per gentile concessione del TFF in qualità di accreditata stampa
Da Venezia a Roma fino a Torino: i miei viaggi italiani del cinema
Concludiamo il mio articolo sul Torino Film Festival con la seconda e ultima parte.
Le sezioni del Torino Film festival – https://www.torinofilmfest.org/it/i-film-del-torino-film-festival/
Le mie RECENSIONI e alcune INTERVISTE correlate (continua dal numero precedente):
Anita (Ekberg) e Monica (Bellucci), due donne splendide di forte personalità.
Recensione del film THE GIRL IN THE FOUNTAIN e intervista alle due sceneggiatrici, Camilla Paternò, anche ideatrice del progetto, e Paola Jacobbi
Camilla Paternò ha voluto fortemente questo progetto, oggi prodotto. Insieme all’amica Paola Jacobbi – giornalista, autrice di diversi libri, in passato inviata speciale di Vanity Fair – Camilla ha scritto la sceneggiatura di The girl in the fountain, uno splendido docufilm che ci fa conoscere lati noti e meno noti dell’indimenticabile Anita, la Sylvia di Fellini e della sua ‘dolce vita’. A rendere tutto ciò possibile due componenti fondamentali: la produzione ad opera dell’ottima Dugong films e la partecipazione, nei panni dell’attrice svedese, di una sempre bellissima Monica Bellucci, anche umile, motivo per cui forte è l’empatia che sa generare. Lo dico già: è proprio da vedere!
A una breve recensione del film, segue l’intervista doppia con Camilla e Paola, che ringrazio per la generosa disponibilità e per la passione e l’amicizia con cui mi hanno raccontato del loro docufilm.
Una mia breve recensione
Il docufilm ci riporta al lontano 1960, anno nel quale Anita Ekberg vestiva – o per meglio dire immergeva nella fontava di Trevi – i panni di Sylvia, colei che, come ricorderemo anche noi venuti ben dopo, chiamava a gran voce ‘Marcello!’ rivolta al celebre attore Mastroianni. Una scena memorabile, di quelle che sono esse stesse il cinema. Dietro alla macchina da presa – non sarebbe nemmeno da dire – un certo Federico Fellini. La vita della giunonica interprete di una perla del nostro cinema non fu, però, tanto splendente quanto quella del suo mito. Insomma, diva e donna, due entità assai diverse. E ciò che il film mira a passare come messaggio è che Anita si era molto battuta per dimostrare che lei non era (solo) la bellissima interprete di Sylvia, ma una persona con una personalità dirompente. Dal comunicato stampa del film: ‘The girl in the fountain è il racconto di un’attrice divorata dalla sua stessa icona attraverso la voce e la sensibilità di Monica Bellucci che con attenzione e delicatezza si mette alla ricerca di quel personaggio, per riscattarne la figura stereotipata della ‘ragazza nella fontana’. Una conversazione verbale e visiva, un dialogo impossibile tra due donne e dive di epoche diverse con cui la Bellucci riscopre il percorso di una donna libera e indipendente, che ha pagato un prezzo per non voler sottostare a nessuno.’. Non posso che condividere il pensiero tanto bene espresso e apprezzare il risultato finale che, in una mattina sul presto, al TFF, mi ha affascinata ed emozionata. Nei confronti, non solo della Ekberg, ma anche di Monica Bellucci, che ho visto e percepito come profondamente sensibile rispetto, in particolare, alla grande solitudine dell’attrice felliniana, con il desiderio di avvicinarvisi in modo umile e rispettoso, ben cosciente di vivere in un’epoca diversa, in tal senso più fortunata. Un plauso anche ad Eric Alexander, che avevo conosciuto, e alle musiche, stupende. Infine, apprezzo fortemente la scrittura, elemento determinante per qualsiasi film o spettacolo teatrale, sempre.
Il direttore del 39° Torino Film Festival, Stefano Francia di Celle, ha consegnato il Premio Stella della Mole per l’Innovazione Artistica a Monica, motivandolo: ‘Questo premio è un riconoscimento per la sua versatilità artistica, la disponibilità a promuovere l’opera di autori emergenti (…)’. La Bellucci la risposto: ‘È per me una grande gioia e emozione ricevere il Premio Stella della Mole’[1].
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=CxI9nRlBqKk ; https://drive.google.com/drive/folders/1qx5J2NYXlSGo-_vij5zqY3jJ8ZNDDs92
Vederlo? Sì. Noi italiani stiamo diventando bravissimi nei documentari e io voglio fortemente sostenere chi lo fa tanto bene quanto i genitori di The girl in the fountain, che interessa, affascina, emoziona e fa pensare; inoltre distrae e dura il giusto. Il mio voto è 8,5, ma fra i docufilm anche 9.
F1) Monica Bellucci-Anita Exberg
La Figura 1 mostra la Bellucci nei panni di Anita Ekberg nel docufilm ‘The girl in the fountain’.
Fonte: per gentile concessione del TFF in qualità di accreditata stampa
The girl in the fountain. Documentario, 80’, 2021. Regia: Antongiulio Panizzi. Sceneggiatura: Paola Jacobbi e Camilla Paternò. Produzione: Dugong Films e Eagle Picturs; co-produzione: Shoot&Post, in collaborazione con Musa e il supporto di Regione Lazio – Lazio Cinema International. Distribuzione: Eagle Pictures. Musica: Max Casacci. Fotografia: Alessandro Chiodo. Montaggio: Danio Galli. Interpreti: Monica Bellucci; Roberto De Francesco, Stefania De Santis, Eric Alexander.
L’intervista
Camilla Paternò e Paola Jacobbi. Anita e Monica, un impossibile dialogo possibile.
Milano, novembre 2021.
Basile: Camilla e Paola, io sono colpita da quanto sono belli oramai certi documentari, benché il termine ancora faccia desistere qualcuno a vederli, perché un tempo, non molto tempo fa, non erano, a mio parere, tanto coinvolgenti ed emozionanti. Questa mia premessa è per dirvi convintamente quanto mi sia piaciuto The girl in the fountain, da voi scritto. A proposito, la produzione è in capo alla Dugong film, che mi dicevate è la stessa che ha prodotto il docufilm dedicato a Giorgio Strelher, anch’esso mostrato al 39° Torino Film Festival, anch’esso stupendo.
Paternò: Sì. La Dugong Films è specializzata in documentari d’autore, anzi ti consiglio di vedere La strada dei Samouni[2], un loro documentario che ha vinto a Cannes il Premio della Giuria Oeil d’Or. Sono molto forti, hanno portato a casa anche diversi David di Donatello. Lavorare con Marco Alessi e Marta Tagliavia, gli straordinari produttori della Dugong appunto, è stato molto bello. Preciso che poi a livello di produzione, oltre alla Eagle Pictures, ci sono, in particolare, come co-produttori la svedese Shoot&Post e Musa, la casa di produzione della stessa Monica Bellucci.
Leggo dal sito della Dugong Films che è ‘una casa di produzione cinematografica fondata nel 2010, per sviluppare progetti di autori che raccontano il contemporaneo con sguardo inedito, portando avanti una ricerca creativa che supera i confini tra i generi’.
Basile: La sceneggiatura è di entrambe voi. Vi conoscevate già? Com’è nata l’idea? Com’è nato il contatto con la Bellucci su cui apro una parentesi: interessante vederla così, cioè stando vicini alla sua natura forse, al suo quotidiano, al punto che sono due le donne che emergono dal docufilm.
Jacobbi: Questa è la mia prima volta nel cinema o, meglio, mi sono sempre occupata di cinema ma come giornalista. Inoltre, da tempo ho la ‘fissa’ di Anita Ekberg, avrei voluto scriverne un libro. Poi, Camilla, di cui sono amica da tantissimi anni, mi ha proposto l’idea del documentario. Ci siamo chieste chi potesse produrlo e, avendo Camilla già lavorato con la Dugong, l’abbiamo proposto a loro che hanno accettato. Dopodiché la riflessione di entrambe è stata che, per raccontare Anita, bisognava trovare un punto di vista di un’attrice contemporanea, dato che le cose sono così cambiate dai tempi della Ekberg. La mission era togliere Anita dalla fontana, liberandola.
Basile: Anche se lei e la fontana sono persino nel vostro titolo…
Jacobbi: Sì, ma l’idea era quella di liberarla dal fatto che la gente se la ricorda solo per quel film e quella scena. Ci serviva un’attrice contemporanea che avesse qualcosa in comune con la Ekberg.
Paternò: Diciamo che, rileggendo e studiando la vita di Anita, non sai se è la donna che insegue la diva o viceversa, il discorso dell’icona è fortissimo. E chi è un’icona contemporanea che può essere all’altezza di Anita, dialogarci e non farsi mangiare da lei? È difficile trovare un’altra attrice all’altezza di Monica. Nel suggerirla, è parsa il guanto giusto per quella mano.
Jacobbi: Anche perché hanno delle cose in comune Anita e Monica: entrambe hanno iniziato con la bellezza, l’una attraverso i concorsi di Miss e l’altra nella moda, avendo successo fuori dal loro paese, dovendo, perciò, confrontarsi con altre culture e recitare in lingue diverse dalla propria; si parla per tutte e due di sex symbol. Ciò detto, è chiaro che il percorso di Monica è stato diverso, anche perché, diciamo così, non si è mai fatta incastrare in nessuna cartolina.
Basile: Sì. Inoltre, la povera Anita Ekberg so che non è finita bene. Ho letto che si lamentava molto di essere stata lasciata sola e povera.
Jacobbi, Paternò: Sì, si verificò un vero e proprio declino. Una cosa molto triste.
Jacobbi: Ecco, alle attrici di oggi è difficile che capiti, anche proprio perché sono più determinate e abituate a gestire le loro carriere e vite con maggiore indipendenza, forse con più lucidità.
Basile: Mi fate venire in mente una frase della Bellucci nel film del tipo ‘in un’epoca in cui le donne erano ancora la madre e la moglie, tu ti potevi permettere più mariti’, costituendo l’eccezione alla regola e un avvio all’indipendenza, ciò che oggi per fortuna è un po’ cambiato.
Paternò: Si ma lei fu colpevolizzata per questo suo atteggiamento, da cui si possono capire certe sue esuberanze, perché ne soffrì molto. Monica è in una situazione diversa, le basta la forza del suo coraggio. Anita provava a farsi conoscere per altro che non fosse legato all’essere vista solo come un sex symbol, senza mai riuscirci in alcun modo. Quindi una differenza grossa c’è. Ed è interessante questo dialogo immaginario a distanza di 60 anni fra le due donne, no?
Basile: Concordo. Fra l’altro mi ha colpita la trasformazione di Monica in lei, parlo del trucco e parrucco in un certo momento del docufilm. Sembrava lei! Pazzesco, non l’avrei mai immaginato.
Jacobbi: Quella è proprio la magia del cinema…
Basile: A proposito della Bellucci: com’è nato il contatto con lei?
Paternò: L’abbiamo contattata a livello ufficiale noi, anche perché Paola l’aveva intervistata già parecchie volte, c’era e c’è un rapporto.
Jacobbi: Sì. Pensa che, quando io avevo iniziato a fare la giornalista, lei aveva iniziato a fare la modella. La mia prima intervista risale a quell’epoca. Mi sono occupata delle due copertine di Vanity Fair con lei incinta la prima e la seconda volta. Insomma, la conosco. E sapevo che era giusta per questa cosa e che le sarebbe piaciuta.
Paternò: Ha avuto coraggio Monica! Quando gliel’abbiamo proposto, considera che avevamo un’idea bella ma striminzita, in appena tre paginette, con un regista esordiente, mio amico che stimo e con il quale ho subito condiviso la stessa visione. Antongiulio poi è stato bravissimo anche con Monica, che con lui ha creato un rapporto molto bello. Sì, Monica ha avuto coraggio.
Basile: Che evoluzione avrà The girl in the fountain?
Paternò: L’uscita al cinema come evento è prevista in 50 sale, nelle principali città italiane, solo in 2 giornate: 1 e 2 dicembre. Poi uscirà a Bologna il 15 e il 16 dicembre, dopo ci sarà qualche uscita a gennaio e, infine, andrà sulla piattaforma, ma non sappiamo ancora dove esattamente.
Jacobbi: Poi magari si andrà in qualche altro festival internazionale. Dipende dalla distribuzione.
Paternò: La distribuzione per l’Italia è con la Eagle Pictures, ma per l’estero non lo sappiamo.
Basile: Quanto tempo avete impiegato a realizzare The girl in the fountain? Partendo dall’idea.
Jacobbi: Se partiamo dalla mia idea del libro, peraltro mai scritto, torniamo a 10-15 anni fa.
Paternò: Per il documentario parliamo di 3 anni fa.
F2) Intervistate e intervistatrice
La Figura F2 mostra, da sinistra, Camilla Paternò e Paola Jacobbi in mia compagnia.
Fonte: per gentile concessione di Alessandra Basile
Basile: Immagino abbia, dunque, inciso anche il Covid…
Jacobbi: Ha inciso. Noi abbiamo cominciato a girare le parti di Monica nel film alla fine del 2019.
Paternò: Poco prima del Lockdown. Noi abbiamo chiuso la prima parte del set a gennaio 2020. Abbiamo ripreso a girare nell’estate dello stesso anno con, poi, dei piccoli pick up fino a fine anno. Dopodiché, il montaggio, la produzione e la post-produzione hanno occupato l’anno successivo.
Jacobbi: È stato molto lungo sicuramente per causa del Covid, ma anche per la complessità legata al recupero del materiale utilizzato nel docufilm.
Basile: A proposito da dove viene? In quell’epoca foto e video c’erano, ma certo non come oggi.
Paternò: Da tutto il mondo. È stato difficile. Soprattutto per un discorso di diritti. A volte, pensa, non puoi usare delle cose meravigliose, perché non riesci nemmeno a risalire al relativo autore.
Jacobbi: Guarda, la ricerca è stata lunga e difficile e si è svolta su tre livelli: i film di Anita, tutta la parte foto-video giornalistica italiana, americana, svedese e le nostre interviste, di cui 7 saranno state quelle usate nel film su una decina che ne abbiamo fatte. Aggiungi poi la parte girata con Monica. Insomma, i materiali da mettere assieme erano proprio tanti.
Basile: A proposito delle interviste che avete fatto, fra gli intervistati c’è anche Paola Pitagora.
Paternò, Jacobbi: Beh poi Marco Giusti, Claudio Masenza, Hélène Chanel, Francesco Vezzoli che aveva fatto uno spettacolo con lei al Metropolitan, Enrico Lucherini, che fu l’ufficio stampa de La dolce vita, Paolo di Paolo, cioè il fotografo della session nel film con Quasimodo.
Basile: Ah sì, quello è un pezzo meraviglioso. Come avete fatto?
Fu in Sicilia che Salvatore Quasimodo e Anita Ekberg si incontrarono, sembra a una serata di festa, dopo la quale il poeta l’aveva guidata tra le meraviglie di Noto, città nella quale ai suoi 50 anni la diva era tornata per festeggiare il suo compleanno. Tra arte e chiacchiere, era nata un’amicizia.
Jacobbi: Quelle foto sono del 1962. Siamo andate dall’autore delle foto che oggi ha oltre 90 anni.
Basile: Ragazze, squadra vincente non si cambia. Giusto? Se Paola nasce giornalista, tu Camilla sei una sceneggiatrice. Parliamo di te: ieri e domani.
Paternò: Sì, però guarda in questo lavoro abbiamo davvero fatto tutto assieme. Certo, ognuna ha anche fatto il proprio mestiere, ossia Paola ha fatto le interviste e io ho scritto i copioni. Così come Antongiulio Panizzi ha curato la regia e i produttori la produzione. Ma è stato un team work. Ciò detto, io lavoro molto per la televisione, faccio serie tv e qualche documentario. Per esempio, fra i miei lavori c’è stata una serie tv diretta da Pappi Corsicato intitolata Vivi e lascia vivere.
Basile: Ah, ho visto che sta uscendo un film di Pappi Corsicato
Sono connessa con il noto regista su LinkedIn, perché una volta ho ricevuto da lui la richiesta di connessione sul social network; devo dire mi sono sentita onorata e, ovviamente, ho accettato.
Paternò: È un documentario, si chiama Pompei. Tra l’altro, esce negli stessi giorni di The girl in the fountain. Io ho sempre avuto molto interesse nei documentari. Tre anni fa ho lavorato con la Dugong a un progetto fatto da dei ragazzi rifugiati minori non accompagnati. Spazio. Ora sto scrivendo una serie distopica per la rai, che si chiama Nur e verrà girata a fine 2021. E altre cose.
Basile: Complimenti a entrambe! Credo che sia l’ideale quando ci si trova bene come amiche e nel lavoro. Dunque, avanti tutta così!
Conclusione dell’intervista
Saluto le due sceneggiatrici e il marito di una di loro, che ha gentilmente assistito a questo caffè con chiacchiere per un’intervista, la mia, ipotizzata un po’ per caso. Mi spiego. Una volta ‘scoperto’ di essere entrambe al Torino Film Festival, Camilla e io – lei con questo splendido film e io nella mia veste autorale, spero un giorno in quella di attrice che sono – ci siamo date appuntamento e, nel frattempo, ho scelto come film da vedere, nel mio ultimo giorno alla manifestazione, proprio The girl in the fountain. Non ci eravamo nemmeno mai viste, ma, siccome il mondo è piccolo, eravamo già in contatto. E direi che ne è venuta fuori proprio una bella intervista. Allora, buona lettura!
Continuano le Recensioni dei film del 39° TFF (che ho visto):
RIEN A FOUTRE/ZERO FUCKS GIVEN, 110’
Uscita: 2022
F3) Adèle Exarchopoulos in una scena di Rien à foutre
Nell’immagine F3, la protagonista del film diretto da Julie Lacoustre e Emmanuel Marre.
Fonte: per gentile concessione del TFF in qualità di accreditata stampa
La protagonista dell’alquanto discusso film del 2013 ‘La vita di Adèle’, che, a Cannes, si portò a casa la Palma d’oro – io mai l’avrei premiato un prodotto lungo e noioso il cui regista, come le stesse due attrici principali avevano poi dichiarato, aveva sfruttato il suo cast, sfinendolo per potere rubare attimi intensi per le sue riprese – Adèle Exarchopoulos è Cassandre in questo piccolo film senza una vera trama. I registi sono due: Emmanuel Marre e Julie Lacoustre. E questo è il loro primo lungometraggio, selezionato alla Settimana della Critica del 74° Festival di Cannes, ma la coppia artistica ha già lavorato assieme in D’un château l’autre, un mediometraggio del 2018. Sul film in questione posso solo dire che – senza sapere di che avrebbe trattato, perché è il mio modo di assistere alle proiezioni dei festival, per non essere influenzata da una storia riassunta male e per restare aperta a quanto vedrò – mi ha tenuta interessata all’evolversi degli eventi. Tuttavia, non c’è alcuna evoluzione da inizio film se non minima nel personaggio principale, ossia non si può parlare di vero e proprio arco temporale per Cassandre. A proposito, nome curioso, vista la sua professione di hostess sui voli. Complessivamente il mio voto è 6,5.
FILM FUORI CONCORSO – SEZIONE SURPRISE.
Genere: Regia: |
Commedia Julie Lacoustre, Emmanuel Marre |
Produzione: |
Wrong Men / Wrong Men North, Kidam ; Benoit Roland, François-Pierre Clavel, Alexandre Perrier |
Durata/ Lingua/ Anno: |
110’/ inglese/ 2021 |
Paesi: |
Belgio, Francia |
Interpreti: |
Adèle Exarchopoulos, Jonathon Sawdon, Jean- Benoît Ugeux |
Teaser/Clip: https://youtu.be/oZZcihJHPOc; https://cines.com/it/film/zero-fucks-given-2021
SANTA LUCIA, 75’
Uscita: febbraio 2021
F4) Renato Carpentieri e Andrea Renzi in Santa Lucia
Nell’immagine F4, i due attori principali del film diretto da Marco Chiappetta.
Fonte: per gentile concessione del TFF in qualità di accreditata stampa
La trama è breve, ma il film è interessante e viaggia su dettagli, sensazioni e, soprattutto, ricordi che riaffiorano nella mente di un anziano cieco, che li ha vissuti quando ancora poteva vedere e li rivive in quel di Napoli con gli occhi dell’anima. Dopo anni via dalla sua città d’origine per essersi trasferito in Argentina e un successo professionale come scrittore, Roberto fa rientro nella città partenopea per la morte della madre. Il suo sarà un viaggio anche metafisico, grazie alla presenza del fratello Lorenzo, un musicista mancato, al quale confiderà il tragico motivo del suo precedente addio, dopo averlo esplorato lui stesso. Il regista si è chiesto: ‘Cosa accadrebbe se un uomo tornasse dopo un lungo esilio nella sua città natale, nei luoghi della sua vita, e non potesse più vederli?(…) Una cecità più metaforica e poetica, che fisica. La città che Roberto attraversa con il fratello Lorenzo è una Napoli inedita e senza tempo, cupa, spettrale, abbandonata e minacciosa, come un enorme, silenzioso cimitero, popolata solo da fantasmi e visioni di un passato lontano, insieme meraviglioso e terribile’. Il film è ben fatto, originale, riesce a non cadere nell’estrema tragicità, nonostante il tema, e ben interpretato, in particolare da Carpentieri. L’attore, che è innanzitutto di teatro, forse avrebbe potuto lavorare più nel dettaglio sulla cecità, lo dico da attrice che osserva attentamente un interprete con grande esperienza. Unico neo: non è chiaro abbastanza, io credo, il rapporto con la ragazza riccia. Il film è però dolce e tenero. Voto: 7,5.
FILM FUORI CONCORSO
Genere: Regia/ Sceneggiatura: Fotografia: |
Drammatico Marco Chiappetta Antonio Grambone |
Produzione: |
Teatri Uniti, RiverStudio, Audiomage. Co-produzione: Fondazione Film Commission Regione Campania. |
Durata/ Lingua/ Anno: |
75’/ Italiano/ 2021 |
Paesi: |
Italia |
Interpreti: |
Renato Carpentieri, Andrea Renzi, Bianca Maria D’Amato |
STREHLER, COM’è LA NOTTE?, 100’
Uscita: N.D.
F5) Giorgio Strelher in una vecchia istantanea
Nell’immagine F5, il grandissimo artista, regista e direttore del Piccolo teatro di Milano.
Fonte: per gentile concessione del TFF in qualità di accreditata stampa
Strehler, com’è la notte? è uno splendido documentario molto ben organizzato, con contenuti ricchi e interessanti che ci raccontano il possibile del grande personaggio milanese – di adozione, perché le sue erano origini triestine – e del suo teatro, nobile edificio della città meneghina, ancora oggi apprezzatissimo in tutto il Paese. Alessandro Turci racconta sia il direttore e regista Strehler sia Giorgio, l’uomo, con le sue fragilità spesso causa di un carattere difficile, di una personalità tanto affascinante quanto irruente e quasi spietata verso chicchessia. Turci ne racconta anche il lascito culturale e artistico, quello a lui contemporaneo e quello vissuto dopo da chi l’ha conosciuto e oggi lo ricorda. Fra i magnifici contributi ripresi dal regista quelli preziosi della da lui amata Ornella Vanoni e della brava Pamela Villoresi. Un fatto molto triste, che trapela dal docufilm, è la delusione di Strehler davanti agli ostacoli all’avvio del suo amore più grande, il Piccolo. Meravigliosi i video e le foto che testimoniamo il sodalizio artistico, a un certo punto, con Paolo Grassi o Bertolt Brecht, niente di meno! Gli archivi della Rai hanno fornito molto materiale. Davvero sensibili i ricordi condivisi da sua moglie Andrea Jonasson, che più volte si commuove. La mancanza, dice, si sente. Come non potrebbe essere così con una tale presenza in casa? E parlo della casa di Lugano, dove morì il 25 dicembre di ventiquattro anni fa. Ahimè, moriva. Voto: 8,5.
FILM FUORI CONCORSO – SEZIONE TRACCE DI TEATRO
Genere: Regia: Sceneggiatura: |
Documentario Alessandro Turci Alessandro Turci, Federica Miglio, Antonia Ponti |
Produzione: |
Dugong Films (Marco Alessi, Marta Tagliavia) con Rai Documentari; Co-produzione: Piccolo Teatro di Milano-Teatro D’europa, Museo Teatrale Carl Carlo Schmidl, Comune di Trieste, Fondo Giorgio Strehler della Fondazione Cineteca di Milano e dell’Archivio storico Teatro alla Scala. |
Durata/ Lingua/ Anno: |
110’/ Italiano/ 2021 |
Paesi: |
Italia |
Interpreti: |
Ornella Vanoni, Franca Cella, Franca Squarciapino, Andrea Jonasson, Giulia Lazzarini, Pamela Villoresi, Vittoria Crespi Morbio, Ezio Frigerio, Giancarlo Dettori, Stefano Rolando, Maurizio Porro, Claudio Magris |
Conclusione
Il mio reportage sulla kermesse torinese internazionale si chiude qui in fervida attesa del 40° TFF.
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https://www.torinofilmfest.org/tt-contenuto/uploads/2021/10/03_TFF39_-Premio-Stella-della-Mole-a-Monica-Bellucci_ok.pdf ↑
Alessandra Basile
Attrice e Autrice. Ha collaborato con la Comunicazione Corporate di un’azienda. Ha una formazione in Life coaching (per un periodo ICF) e una laurea in Giurisprudenza. Presiede la Associazione Effort Abvp con la quale ha interpretato e prodotto diversi spettacoli teatrali a tematica sociale, fra i quali una pièce contro la violenza domestica, ‘Dolores’, della cui versione italiana è co-autrice Siae. Ha scritto ‘Films on The Road’, un libro sul cinema girato in Italia, edito Geo4Map. Scrive di film e spettacoli teatrali con l’occhio dell’Attrice, il suo primo mestiere, e intervista persone e personaggi, soprattutto del mondo dello spettacolo. Email: Alessandra.Basile@outlook.com Sito web: www.alessandrabasileattrice.com