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Le ipotesi per un atterraggio da crash

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Quando cominceranno a bere acqua corrente.

Powell, a Jackson Hole, ha detto che i tassi aumenteranno ancora, che la battaglia contro l’inflazione durerà ancora parecchio tempo e che, comunque, i tassi alti rimarranno a lungo.

Più o meno cose che sapevamo. Nondimeno, riecheggiano le sue parole su una ipotesi di atterraggio morbido, nell’ultima conferenza FED.

A confermarlo, uno stato dell’economia americana che continua ad apparire solido, perfino contro alcune aspettative.

Se vogliamo provare a ipotizzare le ragioni di un atterraggio tutt’altro che morbido, con il solo scopo di misurarne le probabilità, rischiamo di fare un elenco lungo di possibili catastrofismi, mettendo al primo posto Taiwan.

Se però guardiamo esclusivamente non a quello che potrebbe accadere di nuovo (Taiwan ne è solo un esempio), ma a quanto di pericoloso c’è sotto i nostri occhi, dovremmo cominciare a pensare alla realtà del debito americano.

Le agenzie di rating, Fitch in testa, si stanno muovendo: non solo per declassare il rating del debito americano, ma per sparare a raffica sul declassamento del rating delle principali banche americane.

Del resto, se il debito è declassato, non si capisce perché non dovrebbero subire lo stesso destino le entità che quel debito lo tengono in pancia in enormi quantità.

E se la FED non avesse dato la possibilità di ricomprare quel debito al valore nominale, invece che al valore di mercato (di fatto stampando ancora moneta), la maggior parte delle banche americane potrebbero versare improvvisamente in gravi difficoltà.

Ai tassi attuali, il governo federale rischia di pagare un trilione di dollari di interessi l’anno sul debito complessivo che sta viaggiando verso la soglia dei 33 trilioni.

Se è vero che i Brics non hanno ancora nulla in mano di concreto per demolire l’impero del dollaro, da un altro punto di vista è abbastanza chiaro che gli Stati Uniti dovranno prima o poi prendere atto che il processo di de-dollarizzazione porterà da qualche parte: e l’esito può essere solo una perdita di posizioni per il dollaro.

Tutto sommato, se gli Stati Uniti continueranno nella loro politica di espansione illimitata del debito, finisce con l’essere inevitabile una tendenziale perdita di credibilità della loro valuta.

Perché questo porti una conseguenza effettiva, occorrerà ancora del tempo. Presumiamo che potrebbe essere materia del 2025-2026.

Ciò che potrebbe preoccupare nel più breve termine è invece la crisi che avanza nel mercato immobiliare americano, soprattutto in riferimento a quello commerciale.

Il valore degli immobili ad uso ufficio è crollato in tutte le grandi città, da San Francisco a Los Angeles, a Baltimora come a New York.

E lo si può ben capire, il mondo, dopo il Covid, è cambiato e ci si è accorti che dove prima occorrevano migliaia di metri quadri di ufficio, ora ne bastano molto meno, perché lo smart working continua ad essere largamente diffuso.

Lo spopolamento degli uffici ha avuto un impatto fortemente negativo sui bilanci delle grandi società immobiliari, che continuano a rinegoziare, rimandare o comunque non pagare le rate di leasing degli immobili, perché non riescono più ad incassare affitti.

La debacle sembra superi, al momento, i 600 miliardi di dollari, che costituisce il debito che dovrebbe essere rinnovato sugli immobili ad uso ufficio nei prossimi tre anni.

Non sono ancora cifre da capogiro, ma potrebbero diventarlo se il trend non si inverte, e sembra, al momento, non ci siano soluzioni per farlo invertire.

Difficile valutare la capacità di resistenza del sistema a questo fenomeno e, soprattutto, alle soluzioni per assorbire il problema.

I pareri che abbiamo raccolto sono tutt’altro che concordi e vanno da un “Clima 2007”, alle previsioni più ottimistiche di riassorbimento del problema attraverso fusioni ed incorporazioni di grandi gruppi fino a ristabilire una massa critica sufficiente a riportare in equilibrio il sistema.

Tesi, la prima, che ci ha turbato non poco, mentre la seconda ci è sembrata uno sforzo di fantasia estremo.

Se diamo un occhio ai mercati finanziari, ci accorgiamo di come le cose siano cambiate negli ultimi 18 mesi.

I titoli del tesoro americano a breve termine pagano il 5.50%: qualunque valutazione possano fare le agenzie di rating, tale investimento viene considerato di fatto come esente da rischi.

Sul mercato azionario, certamente, finora si poteva ottenere di più, ed è la ragione per cui gli investitori hanno ribilanciato i loro portafogli solo parzialmente: anche se è evidente che la tentazione di farlo in modo più spinto può venire da un momento all’altro.

C’è un grande buco nero nel mercato azionario, le cui conseguenze sono tutte da valutare, perché incomparabili con situazioni del passato.

Nel primo semestre dell’anno 2023, l’S&P500 ha fatto un bel +15,9%.

Se indaghi sotto la superficie del risultato dell’indice, ti accorgi che l’intero risultato è dovuto alle “magnifiche sette”: le rimanenti 493 azioni che compongono l’indice avrebbero mandato l’indice in rendimento leggermente negativo nello stesso periodo.

Che cosa può accadere se le magnifiche cominceranno ad avere un calo degli utili o del fatturato?

Apple ha fatto un + 43% nel primo semestre, ma l’anno fiscale 2023 registrerà una sostanziale battuta d’arresto nei suoi conti.

Gli investitori continueranno a credere nelle sette magnifiche, ormai diventate assi portanti dei listini azionari?

La fantastica diversificazione di ben 500 titoli è diventata una iper-concentrazione su sette di essi.

Immaginati una limonata dove la prima parte è succo di limone iper concentrato e tutto il bicchiere è acqua corrente …

Quando gli investitori dovessero cominciare a bere acqua corrente, che cosa accadrà?

Fenomeni che possono portare la volatilità dei mercati verso le stelle?

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P.S.: Così, per un atterraggio da crash non è poi da immaginarsi più di tanto ciò che potrebbe avvenire. Basta quello che abbiamo sotto gli occhi.

Per ora, tutto bene, quindi … salvo ciò che può andare male.

E non abbiamo parlato delle opzioni a scadenza giornaliera! … un’altra volta, con più dati a disposizione.

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Maurizio Monti

  Editore Istituto Svizzero della Borsa

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