Grande Peggy.
L’ho citata più volte in passato, nei miei articoli.
Ritengo Peggy Noonan, giornalista del Wall Street Journalist, una voce indipendente, non solo grande interprete dei fenomeni economici ma soprattutto attenta lettrice dell’epoca che viviamo.
Il 23 settembre, sulle pagine del suo giornale, usciva un articolo spettacolare per lucidità ed autonomia di giudizio: con il titolo “The Senator’s Shorts and the America’s Decline” (I pantaloncini del Senatore e il Declino dell’America).
Prendendo spunto da un modo ridicolo di presentarsi di un Senatore americano, riferendosi agli Stati Uniti, e del suo modo di porsi come nazione, Peggy sostiene:
“La preminenza comporta sempre degli obblighi. Devi recitare la parte. Devi presentarti con dignità. Devi comportarti con classe. Da qualche tempo – diciamo dall’inizio di questo secolo – siamo a un punto del nostro potere in cui amiamo ancora insistere sulla preminenza: USA! USA! – ignorando sempre più le responsabilità… Vogliamo essere rispettati ma non pensiamo più di dover essere rispettabili.”
Se sei la nazione che vuoi essere, se ritieni di essere la grande America, se pensi che l’America non è e non può essere seconda a nessuno, devi saperti comportare in modo coerente. Devi essere rispettabile se vuoi pretendere di essere rispettato: grande Peggy!
Il dramma degli Stati Uniti è di una nazione dove l’alternanza della democrazia è divenuta spaccatura viscerale.
E se sei repubblicano, sceglierai Donald Trump, e dovrai odiare il tuo avversario politico. Se sei democratico, sceglierai Biden, e dovrai considerare il tuo avversario politico come un nemico della nazione.
Nell’uno e nell’altro caso, sceglierai qualcuno che ha qualche problema con la giustizia.
L’elettore di Trump nega i problemi del suo beniamino, perché egli è l’eroe rivoluzionario, colui che intende “spazzare via l’establishment”. L’elettore di Biden, più semplicemente, si tura il naso, per evitare di votare l’odiato Trump.
Il risultato di questa nazione spaccata in due, della prima nazione al mondo per importanza militare ed economica, è quello di organi istituzionali in continue vacillanti condizioni di incertezza decisionale.
Dopo avere vissuto, non più di alcune settimane or sono, il dramma della incertezza sulla estensione del tetto del debito, clamorosamente sottovalutata dai principali media, che poi ha portato al downgrade di Fitch sul debito americano, ora assistiamo ad un altro fenomeno consimile, altrettanto sottovalutato dai media.
Il 30 settembre è una data importante per il governo degli Stati Uniti: è la conclusione dell’anno fiscale per il bilancio ed entro tale data vanno approvati i capitoli di spesa delle leggi annuali di stanziamento che finanziano le operazioni governative.
In caso contrario, le attività governative vengono chiuse.
Si tratta di uno shutdown, dove sono chiamati al lavoro solo i dipendenti governativi che svolgono funzioni essenziali, e il loro stipendio rimarrà in sospeso fino alla risoluzione del problema.
Alla maggior parte degli altri dipendenti federali viene imposto di non presentarsi, con la conseguenza di gravi ritardi nell’espletamento di servizi importanti.
C’è un grave disaccordo, alla Camera americana, fra i due schieramenti politici, riguardo a ben undici voci di spesa da approvare.
E’ già accaduto in passato che il governo americano “chiudesse” la propria attività per alcuni giorni, successivi al 30 settembre.
In genere si è trattato di modesti ritardi di qualche giorno.
L’ultima volta che avvenne fu, indovina un po’, sotto la presidenza di Trump, e durò dal 22 dicembre del 2018 al 25 gennaio del 2019. 35 lunghi giorni.
Da un punto di vista macro-economico, l’impatto sul PIL di tale situazione è minimo, se non irrilevante.
Il disagio per i cittadini è però molto grande, come pure l’impatto psicologico.
Se dovessi paragonare la temperatura politica di quell’epoca a quella odierna, direi che oggi è molto peggio di allora.
Funzionari della Casa Bianca hanno avvertito la popolazione che già da questa settimana potrebbero formarsi lunghe code negli aeroporti a causa di disservizi nelle attività dei controllori del traffico aereo.
Hanno anche enumerato una serie di possibili disagi ulteriori.
I mercati non sono tranquilli, in questi giorni.
L’S&P500, venerdì scorso, ha disegnato una candela un po’ sinistra: un tentativo molto blando di risalita fino a 4400, prontamente respinto, e successivo affondo fino a 4357.
Il rimbalzo probabile di cui avevamo parlato nell’articolo di ieri sembra essere stato di breve durata.
Il minimo del 18 agosto è stato a 4350. Ma prendendo a riferimento il future dicembre, il minimo era 4397, quindi abbondantemente violato, in apparenza, già dal movimento di giovedì scorso.
Parlavamo, in un articolo precedente, di un supporto di breve a 4325, si è abbassato a 4310/4300.
Nell’elaborazione di domani con i nostri sistemi algoritmici, esamineremo le probabilità e se ci sarà qualche cosa di interessante lo vedremo nel prossimo articolo.
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P.S.: Forse lo shutdown non toccherà le borse, o, semplicemente, non ci sarà.
Ma è indizio del clima di una nazione come gli Stati Uniti.
E, certamente, non contribuirà ad un sentiment sereno nelle borse, già pienamente intrise della stagionalità negativa di fine settembre.
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Editore Istituto Svizzero della BorsaMaurizio Monti