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Ricordi sinistri sui tassi dei Fed Funds

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Sarà recessione?

Erano le settimane immediatamente antecedenti la grande crisi del 2008-2009.

L’S&P500, nell’agosto del 2007, sulla scia di qualche sentore di banche in difficoltà per i mutui subprime, scese in modo micidiale.

Gli investitori ancora non lo sapevano, quel minimo di agosto 2007 era un doppio minimo rispetto ad alcuni mesi prima, ma, soprattutto, andava a tracciare una linea di demarcazione netta: sotto quella linea sarebbe stato crash.

La ripresa fu rapida, agosto 2007 rispettò la statistica di un mese di agosto con due direzioni e il prezzo ritornò rapidamente a valori normali: i sintomi di quella che sarebbe poi divenuta una crisi di portata gigantesca sembravano poca cosa.

Dopo il massimo del 12 ottobre 2007 (proprio 16 anni or sono) a 1589, l’S&P500 cominciò a scendere, lentamente.

Nel gennaio del 2008 la linea di demarcazione segnata con il minimo di agosto 2007 veniva toccata.

Resisteva con un piccolo rimbalzo, si trattava di un triplo minimo, una reazione doveva esserci per forza.

Quel supporto veniva rapidamente polverizzato, e fu ribasso vero, violento. Il 2008 era iniziato.

Nel frattempo, da parecchi mesi prima, un altro grafico segnava, invece, massimi importanti. Era il rendimento dei FED Funds a 10 anni, che, in ascesa continua fin dal 2004, aveva rotto dall’inizio del 2007 la soglia record del 5%.

Con il 2008, il grande crollo della borsa nei primi mesi, limò appena quella soglia, portandola poco sotto il 5%, intorno al 4.80%.

Esattamente il livello toccato dai Fed Funds in questa settimana: 4.80%.

Questo numero ha martellato negli ultimi giorni la testa degli investitori.

Insieme con le preoccupazioni per l’edilizia abitativa, i bilanci delle banche medio-piccole e perfino la sostenibilità fiscale del governo degli Stati Uniti e del debito, i timori di una recessione si sono rinnovati.

E’ vero, era una recessione che doveva arrivare mesi fa, ma non si è vista. Quando la curva dei tassi a breve e dei tassi a lungo termine si invertì, tutti quanti gridarono alla recessione.

Alle volte “questa volta è diverso”, evidentemente, funziona. E’ raro, ma finora è stato così.

Sicuramente l’inversione della curva non è stata seguita, al momento, da una recessione. Se poi arriva fra qualche mese, dubito possa essere ancora collegata con l’inversione della curva.

I tassi a lungo termine così alti stanno ad indicare che gli investitori si sono sintonizzati sul mantra della FED di tassi elevati ancora per parecchio tempo.

Quanto siano gli investitori ad essersi sintonizzati, o quanto sia stata la stessa FED a causare l’impennata dei rendimenti per trovare una definitiva soluzione ad un rallentamento di una economia americana troppo in calore, è difficile dirlo.

I migliori amici della FED non ci hanno fatto mancare le loro previsioni, di colpo divenute quasi terroristiche sul piano dei tassi di interesse, sulla loro entità e durata.

Jamie Dimon, grande capo di JpMorgan, ha sparato una delle sue parlando di “un mondo impreparato a tassi americani intorno al 7%”.

Più di recente, Bob Michele, simpaticissimo responsabile del reddito fisso, sempre di JpMorgan, quindi collaboratore di Jamie Dimon, riferendosi ai costi di finanziamento, ha dichiarato “che rimarranno sui livelli attuali o superiori, perché lo vuole la FED. La FED vuole rallentare il consumatore americano”.

Ha proseguito anche Goldman Sachs, con la voce di Lindsay Rosner, responsabile degli investimenti multisettoriali presso Goldman Sachs, che ha messo l’accento sulle ripercussioni sul consumo: “Sfortunatamente, penso che ci debba essere un po’ di dolore per l’americano medio adesso”.

Non dobbiamo sottovalutare l’impatto del tasso di interesse sul decennale americano, perché è un indicatore economico che influenza il credito al consumo, il credito alle imprese, i prestiti auto, i mutui casa, le obbligazioni societarie e degli enti locali, le carte di credito e, infine, il mercato valutario.

Mentre i Treasury a breve scadenza sono influenzati più direttamente dalla politica della Fed, i titoli a 10 anni sono influenzati dal mercato e riflettono le aspettative di crescita e inflazione.

È il tasso che conta di più per i consumatori, le aziende e i governi, poiché influenza trilioni di dollari in prestiti per la casa e l’auto, obbligazioni societarie e municipali, carte commerciali e valute.

L’aumento dei tassi a lungo termine sta anche influenzando le borse, che continuano ad avere un evidente andamento instabile.

La FED sembra avere vinto la battaglia contro tutti, salvo che contro l’inflazione: sta deprimendo il consumo, i mutui, i prestiti, la circolazione monetaria, perfino le borse.

Con livelli che non si vedevano dall’inizio della pandemia, sta anche provocando l’esplosione delle insolvenze, ad esempio sulle carte di credito, i cui tassi di revolving sono saliti alle stelle.

Sarà recessione?

La nostra visione sulle borse è che il minimo pre-elettorale dovrà manifestarsi nelle prossime settimane. E se sarà un minimo importante, come crediamo che sia, è facile pensare sia seguito da un rally di grande magnitudine.

Per ora, il 2023 rimane con minimi e massimi all’interno del 2022, come peraltro ci aspettavamo.

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Maurizio Monti

  Editore Istituto Svizzero della Borsa

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