Recessione sì, recessione no.
Il petrolio è un caso di commodity con domanda anelastica: significa che la variazione del prezzo, in costanza delle altre variabili, non influisce sulla domanda, perché comunque i consumatori acquistano la stessa quantità.
E’ evidente che questo è dovuto alla dipendenza dal petrolio come fonte essenziale di energia. Non importa il prezzo, il petrolio serve e viene comprato in ogni caso, con piccole o addirittura nulle variazioni di quantità in funzione della variazione del prezzo.
Sempre che le altre variabili rimangano le stesse: a quanto vedremo potrebbe, ora, non essere così.
Per i produttori, che non possono chiudere i rubinetti rapidamente, significa dover fare una gestione delle scorte al meglio, in funzione delle previsioni di prezzo. L’immagazzinamento ha i suoi limiti naturali, perché il petrolio richiede molto spazio.
Dal 2020 in poi, anche grazie alle rinnovate tecnologie, c’è stato un enorme incremento della produzione di petrolio negli Stati Uniti, che al momento sono il principale produttore mondiale.
Nel 2022, l’Arabia Saudita, anche a causa della politica USA di aumento delle scorte e della produzione propria, cercava di mettere alle strette gli Stati Uniti, tagliando la produzione. Gli USA hanno reagito e di fatto il prezzo del petrolio si è calmierato.
I lettori ricorderanno i nostri commenti sulla vendita ordinata da Biden perfino delle scorte di petrolio del Pentagono.
Nell’articolo di ieri, mettevamo in evidenza la tendenza stagionale del petrolio, ribassista da ottobre a metà dicembre, in contrasto con i minimi recenti, raggiunti i quali i produttori USA potrebbero intervenire per sostenere il prezzo.
Ciò che però ha giocato al ribasso del prezzo, è un forte rallentamento della domanda cinese: le cause di tale rallentamento potrebbero risalire agli investimenti massicci in ferrovie ad alta velocità e veicoli elettrici, unitamente ad alcuni fattori demografici di rallentamento generale della domanda e per una economia che non ha più lo smalto di crescita di un tempo.
In ogni caso capire che cosa accade in Cina è sempre un enigma e quindi prendiamo solo atto del rallentamento della domanda.
Così, la Cina sta giocando sul mercato una eccezione significativa rispetto alla caratteristica anelastica della domanda di petrolio, diminuendo la domanda e condizionando il prezzo, dove la variabile che cambia è il rallentamento economico e lo spostamento su altre fonti di energia.
In prospettiva futura, se il vento recessivo dovesse allargarsi, lo stesso destino potrebbe colpire gli Stati Uniti, il Canada e l’Europa.
Da un lato quindi, i produttori, interessati a prezzi che salgano rispetto alla fascia dei 60/70 dollari. Dall’altra le concause economiche che potrebbero condizionare i prezzi al ribasso.
Il rapporto prezzi/utili delle principali compagnie petrolifere, parlo di Exxon, Chevron e Shell, sono appetibili, specialmente se confrontato con altri settori.
Il problema di tali titoli è se la stima degli utili futura ha tenuto conto, oppure no, di un eventuale calo del prezzo del petrolio.
Il clima recessivo, come dimostra il passato, contribuisce al calo del prezzo del petrolio. Sono significative le statistiche USA sulle miglia percorse in automobile, che hanno toccato i minimi nel 2008-2009 e sono tornate ai valori del 2007 solo nel 2016.
Recessione sì, recessione no?
La revisione, piuttosto drammatica, dei posti di lavoro creati negli Stati Uniti negli ultimi 12 mesi getta un’ombra piuttosto diversa da come è stata dipinta la realtà del mercato del lavoro.
In Canada, la disoccupazione è in aumento. Nel Regno Unito le offerte di lavoro sono in sensibile calo.
E’ molto probabile che sarà il prezzo del petrolio a dirci se l’economia mondiale sta andando in recessione.
Se i prezzi nella stagionalità negativa di ottobre-dicembre saliranno o resteranno costanti o scenderanno di poco, starà ad indicare che le prospettive recessive di breve termine non esistono.
Se il prezzo del petrolio seguirà la normale stagionalità e non reagirà rimbalzando dai minimi in modo convincente, mostrando debolezza nell’ultimo trimestre dell’anno, sarà un sintomo recessivo piuttosto significativo di cui tenere conto.
Propendiamo per la prima ipotesi, ma è solo una opinione.
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P.S.: La pubblicazione del dato del CPI, mercoledì scorso, è stato interpretato dal mercato azionario in modo contraddittorio: prima una discesa di 100 punti sull’S&P500, poi una salita di 170 punti.
La discesa andava interpretata come il dato deludente del CPI per il core CPI che non è sceso: quindi, la ipotetica riduzione dei tassi di 50 punti base da parte della FED veniva ricondotta al più realistico valore di 25, creando la delusione sul mercato azionario.
Poi, risorgevano i tecnologici, quelli che hanno mostrato di non risentire dei tassi elevati: la rimonta dei titoli della tecnologia ha riportato il mercato sui massimi relativi della settimana.
Recessione sì, recessione no. E i mercati non sanno che direzione prendere.
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Maurizio Monti
Editore
Istituto Svizzero della Borsa