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La grande giostra dei mercati nel dopo-elezioni

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Non finisce bene, per ora si festeggia.

E’ finita, il Vix respira.

Abbiamo appena passato il periodo elettorale: come vuole la statistica, la volatilità si sta abbassando.

Lo ha fatto molto rapidamente nella giornata di giovedì 6 novembre con un clamoroso gap down.

Il Vix sta toccando quota 15.

Da metà luglio in poi tale soglia è stata di supporto: il Vix si è mosso sempre sopra.

Ora, probabilmente, andrà ad affrontare lo scoglio della rottura al ribasso, per trasformare quota 15 in prossima futura resistenza. 

 

Trump non ha vinto, ha stravinto.

Con la vittoria di Trump, è nato un nuovo ordine mondiale, si dice.

Dove l’Europa, Germania in testa, potrebbe essere destinata a soccombere perché lasciata al suo destino dal cugino ribelle americano dai capelli rossi.

E, tanto per cominciare, in Germania c’è clima di crisi di governo e di elezioni anticipate.

 

Chi ci ricorda?

Queste elezioni, per certi versi, per la virulenza della competizione, ricordano quelle americane del 1916.

L’Europa era in fiamme, in piena Grande Guerra.

E gli USA cercavano di rimanere a guardare, senza coinvolgersi.

Il popolo americano era propenso a preservare la pace.

E lo si poteva capire, la guerra era lontana, e le ferite della Guerra Civile erano tutt’altro che scomparse.

Il Paese viveva un momento di eccezionale sviluppo. Il sogno americano era lì, stava per nascere.

Le posizioni dei candidati alle elezioni del 1916 erano opposte, proprio sul piano della partecipazione alla guerra.

Il presidente in carica Woodrow Wilson, democratico, si ripresentava per il secondo mandato

Vantava posizioni pacifiste, di assoluta neutralità rispetto alla guerra europea.

L’ex Governatore dello stato di New York Charles Evans Hughes, repubblicano, candidato avversario, era più possibilista per un intervento degli Stati Uniti.

Wilson aveva basato la sua campagna su “Ci ha tenuti fuori dalla guerra”.

Rappresentava la stabilità e il desiderio di pace della popolazione, per cominciare a godere dello sviluppo del paese.

Hughes non era un guerrafondaio.

Ma era sensibile a molte pressioni provenienti dall’esterno, che speravano in un intervento militare degli Stati Uniti.

La campagna elettorale, sia pure con i limiti della capacità comunicativa del tempo, incomparabile con quella odierna, fu agguerrita.

Una delle più agguerrite della storia fino a quel momento. 

 

La grande incertezza.

Cittadini e mercati finanziari, negli ultimi quattro mesi prima delle elezioni, hanno vissuto con il fiato sospeso.

Per i mercati, c’era veramente una differenza enorme, a seconda del candidato vincente.

La Borsa di New York visse momenti di volatilità insolita, soprattutto nei settori più esposti all’incertezza del risultato: forniture belliche, trasporti, settore bancario.

La vittoria di Hughes probabilmente implicava l’entrata in guerra. Quella di Wilson la certezza di una pace duratura.

Come oggi, nel 1916, nulla c’era e c’è di certo nelle vicende umane.

La notte e il giorno successivo alle elezioni furono drammatici: all’inizio, Hughes venne dato come vincitore.

I mercati reagirono immediatamente, le industrie di armamento e trasporti videro i titoli salire alle stelle.

Poi, arrivò la notizia, a mercati aperti, che Wilson aveva vinto diversi stati chiave.

I mercati cambiarono subito direzione, confermandola poi quando Wilson fu dichiarato vincitore.

Se ci hai trovato qualche affinità (sia pure a parti rovesciate) con le elezioni 2024, hai perfettamente ragione.

 

Così, è interessante sapere come andò a finire.

Gli attacchi alle navi americane si intensificarono. Il mondo al di là dell’Atlantico era in guerra.

Le pressioni degli alleati furono fortissime.

Wilson, pacifista, eletto per salvaguardare la pace, si rassegnò agli eventi.

Dovette fare dietro-front.

Bello dire che voglio la pace, quando tutto intorno si spara.

E se continui a dire che ci sono molte somiglianze con il mondo di oggi, continui ad avere ragione.

I politici che vogliono la pace vincono, salvo poi rimangiarsi la parola data agli elettori.

La pace non basta volerla, dipende che cosa gira intorno.

I mercati non tardarono a girarsi un’altra volta, quando, nell’aprile del 1917, gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania.

L’impatto sulla volatilità, sia pure rapportata a quell’epoca, la lascio immaginare.

L’incertezza sulle decisioni politiche comportava allora, come comporta oggi, un impatto forte sui mercati. 

 

Torniamo ai tempi nostri.

Powell ieri sera ha detto chiaro:

“The federal government’s fiscal path, fiscal policy, is on an unsustainable path. The level of our debt relative to the economy is not unsuitable, the path is unsustainable.”

Un po’ come dire: siamo su una brutta strada con un debito e una politica fiscale insostenibili.

Ma … ha detto insostenibili?

Unsustainable significa insostenibili?

E lo ha detto… Powell? La FED?

Il debito degli Stati Uniti è insostenibile. La politica fiscale, anche.

Non era un incubo. Lo ha detto la FED.

 

I grafici.

Per forza, a questo punto, dare ragione ai grafici viene naturale.

Quel grafico del future del Treasury americano in discesa da quando Powell ha abbassato i tassi, proprio da metà settembre, come a dire: i tassi ufficiali possono abbassarsi, ma i Treasury, per venderli hanno bisogno di tassi più alti.

E quale sarà la prospettiva di questa America Great Again quando Super Trump abbasserà, se le abbasserà, le tasse, e continuerà, se la continuerà, la politica di pazze spese che ha visto un aumento del debito pubblico di un trilione di dollari ogni 100 giorni?

Dirà a Powell di tacere e non portare jella?

Però, nel frattempo il future dell’S&P500 ha superato quota 6.000.

Le borse festeggiano e montano sul carro del vincitore.

Per pagare il debito, vedremo. Siamo gli Stati Uniti d’America e ora siamo anche Great Again.

 

Sarà un caso.

Sarà un caso, ma almeno tre domande dei giornalisti nella conferenza stampa di ieri sera con Powell, hanno cercato di sondare il rapporto fra lui e Trump.

E due domande consecutive sono state miratissime: “Se Trump Le chiede di andarsene, Lei lo farà?” . “Risposta: No, non lo farò.”

“Ma lui potrebbe licenziarla?”. Risposta: “No, è contro la legge.”

Quindi: che aria tira?

Questo decennio?

Non finisce bene.

 

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P.S.: I più grandi crolli delle borse si sono verificati quando c’era un repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti.

Il massimo ribasso per un periodo di presidenza democratica è stato del 26%.

Non significa che sto ipotizzando un crollo, perché Trump ha vinto le elezioni.

Anzi, tutti i presupposti, nel breve termine, sono di un rialzo delle Borse.

Il 2017, primo anno della presidenza Trump,  fu un anno eccezionale per le borse.

Poi arrivò il 2018. Anche il 2020.

Non vedo bene la fine del decennio.

 

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Maurizio Monti

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