László Toth è un architetto ungherese ebreo, scampato ai campi di sterminio della seconda guerra mondiale: è un personaggio frutto di fantasia, nel quale moltissime storie vere sono state riunite per raccontare una verità: la verità, nella sua durezza, della vita di un immigrato in gamba, ma spesso emarginato, nella Grande Mela, dove pure gli italiani immigrarono in massa in un simil momento.
Il regista del lungometraggio, il giovane Brady Corbet, un ex attore sia bambino che, in età più cresciuta, in film d’autore, è alle prese con la regia – e con il vero successo – da pochi anni: alla 72° edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, si è aggiudicato i premi per il miglior regista e per il miglior film d’esordio nella sezione “Orizzonti” con “The Childhood of a Leader”, da lui diretto nel 2015 e basato su un racconto di Sartre, non facile da realizzare per il grande schermo, anche per motivi finanziari.
Allo stesso festival, che ricordiamo essere il più importante di categoria in Italia e uno dei maggiori riferimenti del cinema anche internazionale, Corbet si è guadagnato il Leone d’argento-Premio speciale per la regia proprio per “The Brutalist”, che gli ha permesso di portarsi a casa anche due Golden Globe, l’uno al miglior film drammatico, l’altro al miglior regista; infine, sempre per la regia, il 36enne si è, di recente, aggiudicato un Bafta.
Trama
Il protagonista del film si chiama László Tóth (Adrien Brody), è un architetto ebreo di origini ungheresi che, nel 1947, approda nei desiati Stati Uniti, ma il suo passato nei campi di concentramento tedeschi, la separazione forzata dalla giovane moglie, finita in un altro lager, la lingua inglese parlata in modo un po’ approssimativo, per qualcuno rozzo, le necessità economiche che lo attanagliano gli rendono la neo-vita americana difficile.
Il cugino, Attila, residente a New York, lo ospita, in un primo momento, e lo invita a lavorare con lui nella sua aziendina di mobili dal gusto discutibile e dal valore contenuto; László dimostra immediatamente quanto è bravo, capace e intuitivo, dotato di quella genialità che, spesso tuttavia, gli gioca brutti scherzi.
Quando il milionario Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce) li sorprende nella sua biblioteca a ultimare un lavoro commissionato loro dal nipote del brusco aristocratico, li manda via in malo modo e il giovane committente che li aveva interpellati decide di non pagarli.
Così Attila manda via dall’azienda e di casa il povero László, accusandolo ingiustamente di aver fatto spiacevoli avances alla moglie.
Sarà il ricchissimo Van Buren della Pennsylvania a fornire l’occasione all’architetto di Budapest per emergere professionalmente e in società e per guadagnarsi da vivere, affidandogli un progetto mastodontico: dovrà ideare e costruire un centro culturale polifunzionale, che sia luogo di aggregazione, con una biblioteca pubblica, una palestra e persino una cappella.
In vero, l’uomo non si rivelerà che un violento usurpatore e capriccioso manipolatore, capace solo di usare gli altri nei momenti di debolezza, sfruttando la sua posizione e l’indiscusso potere economico.
Il film scorre attraversando trent’anni di vita di László, raggiunto a un certo punto dalla moglie Erzsébet (Felicity Jones) e dalla nipote Zsofia (Raffey Cassidy), grazie all’intervento di un avvocato amico di Van Buren; la sorpresa è amara, tuttavia, perché la moglie si presenta in sedia a rotelle, patendo le conseguenze di una grave osteoporosi per malnutrizione, ma l’amore perdura.

Nella figura F1 Adrien Brody, Felicity Jones e Guy Pearce in una scena di “The Brutalist”.
Fonte: scatto di Alessandra Basile
Recensione
Il film è caratterizzato da un ritmo che permette allo spettatore di entrare nella storia quasi senza rendersene conto, proprio perché resta costante nel suo durare, pur scorrendo, 3 ore e mezza.
Fotografia, cura dei dettagli, livello di acting, narrazione: il film non cade e non scade mai e, con il suo procedere quasi lento ma inesorabile, fa entrare lo spettatore nella storia senza nemmeno che se ne accorga e, alla fine, si sente lì con loro, con László Tóth, con Erzsébet e Zsofia, con Van Buren.
Straordinaria l’interpretazione di Adrien Brody che, reduce dal Golden Globe al migliore attore protagonista, ambisce a ricevere l’Oscar nella stessa categoria di Chalamet (“A complete unknown”[1]).
Oltre al Golden Globe e al BAFTA, si è aggiudicato il Critics Choice Award al miglior attore. La cerimonia degli Oscar si terrà il prossimo 2 marzo. Vincerà?
Il pronostico di Traders’ Magazine Italia è che, a dispetto della sua strepitosa performance, per certi versi anche migliore di quella del giovane concorrente, Brody non lo batterà, perché, oltre alla buona recitazione, il prescelto di Guadagnino ha dalla sua di avere cantato, nel film, 40 brani di Bob Dylan senza ricorrere al playback e ricevendo l’applauso dello stesso Dylan; inoltre, vestire i panni di un personaggio reale, noto a tutti e persino ancora in vita non è cosa banale e Chalamet l’ha fatto bene.
Curiosità

Nella figura F2 il monumento NeoLiberty con tratti dell’architettura brutalista.
Fonte: https://live.staticflickr.com/5652/21635581104_0b19489c75_b.jpg
Il titolo “The Brutalist” deriva naturalmente dalla così detta architettura brutalista della seconda metà del ‘900, caratterizzata sia dall’uso del cemento armato come materiale principale sia dalla semplicità delle forme geometriche utilizzate.
Le Corbusier, nel 1923, diceva: “L’architecture c’est, avec des matières brutes, établir des rapports émouvants” (Traduzione: “L’architettura è stabilire rapporti emozionali con materiali grezzi”): il termine, che nacque nel 1954 in UK, deriva dal béton brut ossia dal cemento a vista; si mira a conferire all’opera un “vigore” architettonico. Il film contiene tutta una parte di scene girate in Toscana, dunque in Italia[3].
Ecco, proprio nel nostro paese, a Milano, la Torre Velasca, pur essendo ascrivibile al Neoliberty, è un esempio di opera caratterizzata da alcuni tratti estetici dettati dall’architettura brutalista.
Profumo di vittoria e incassi
Per “The Brutalist”, che in Nord America avrebbe incassato poco meno di 15 milioni di dollari e oltre il doppio nel resto del mondo, l’introito da noi si aggirerebbe sul milione e mezzo di euro.
Il lungometraggio punta a 10 Premi Oscar; fra le categorie coinvolte, oltre a quelle già menzionate, anche “Miglior film”, “Migliore attrice non protagonista” (Felicity Jones) e “Miglior sceneggiatura non originale”.
Le prime due categorie sono le stesse nelle quali ha ottenuto poi 2 Golden Globe, vincendone uno anche come “Miglior film drammatico”.

Nella figura F3 la ripresa video del marmo di Carrara dove Van Buren e Toth si trovano.
Fonte: scatto di Alessandra Basile
Conclusione
Se “A complete unknown” ha ottenuto delle nomination ai Golden Globe, mentre “The Brutalist” gli portava via i relativi premi, il timore, come già inteso, è che accada l’esatto contrario all’ambita serata degli Oscar.
Quel che è certo è che a unire le due pellicole, la loro grandiosità, il gusto di entrambe, la qualità tecnica e interpretativa che ha caratterizzato l’una e l’altra, è stata anche la storia: in entrambi i prodotti cinematografici, la trama verte su delle vite realmente vissute e su dei momenti socio-storico-culturali da non dimenticare.
Ora mi chiedo: perché noi non puntiamo alla vita vera invece di continuare con le commediole e con le facce già viste e riviste di cui non se ne può più?
O perché non realizzare un piccolo capolavoro come “Il mio giardino persiano”?
Perché non puntare alla qualità piuttosto che alla commerciabilità del prodotto? Forza Italia! Tutta l’Italia…
Uscita nelle sale
Il film di Brady Corbet è uscito nelle nostre sale lo scorso 6 febbraio ed è ancora in programmazione. Il mio voto: 9. Da vedere!

Alessandra Basile
Attrice e Autrice. Ha collaborato con la Comunicazione Corporate di un’azienda. Ha una formazione in Life coaching (per un periodo ICF) e una laurea in Giurisprudenza. Presiede la Associazione Effort Abvp con la quale ha interpretato e prodotto diversi spettacoli teatrali a tematica sociale, fra i quali una pièce contro la violenza domestica, ‘Dolores’, della cui versione italiana è co-autrice Siae. Ha scritto ‘Films on The Road’, un libro sul cinema girato in Italia, edito Geo4Map. Scrive di film e spettacoli teatrali con l’occhio dell’Attrice, il suo primo mestiere, e intervista persone e personaggi, soprattutto del mondo dello spettacolo. Email: Alessandra.Basile@outlook.com Sito web: www.alessandrabasileattrice.com
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