La fiducia e la pancia del mercato.
Protezionismo.
Studiando a fondo la storia, Stati Uniti e Cina hanno avuto sempre un rapporto molto competitivo.
Nel gennaio scorso, il Segretario al Commercio Lutnick ha affermato che i chip di Nvidia hanno portato i cinesi allo sviluppo di DeepSeek.
Da tale considerazione, Lutnick disse che gli USA dovevano smettere di consentire l’uso degli strumenti realizzati all’interno degli Stati Uniti che permettevano ai cinesi di competere con loro.
Così il giro di vite sui Chip è una conseguenza di tale posizione dell’amministrazione americana.
Osservo che al momento ne fa molto più le spese il titolo Nvidia che non la borsa cinese.
Altre volte nella storia.
Sicuramente, non è la prima volta che gli Stati Uniti adottano misure per proteggersi dalla minaccia di una presunta industria cinese più efficiente di quella nazionale.
Sembra quasi esserci un ciclo storico, durante il quale, ad intervalli di tempo più o meno regolari, gli Stati Uniti deliberano alternative protezionistiche nei confronti della Cina.
Negli anni successivi alla rivoluzione americana, ci fu il primo contatto degli Stati Uniti con la Cina per il commercio del tè, della seta e della porcellana.
La nascita del rapporto USA-Cina
Era il 1784, quando la prima nave americana raggiunse il porto di Canton (oggi Guangxhou, non sia mai che sopravviva un nome dell’era imperiale nella Cina di oggi).
Fu l’inizio della prima collaborazione commerciale: si osservi, cercata dagli Stati Uniti.
Non c’erano ancora rapporti diplomatici ufficiali.
Questi furono anche ostacolati dalle Guerre dell’Oppio: inventate dall’impero britannico per rendere la Cina un mercato di destinazione dell’oppio prodotto nell’area indiana.
La Cina era fortemente proibizionista nei confronti dell’Oppio, ma perse le guerre contro l’impero britannico e dovette rassegnarsi al “secolo dell’umiliazione”, che ferì fortemente la cultura cinese e la rese diffidente nei confronti della cultura occidentale.
Questo finì con il favorire gli Stati Uniti, nel trattato di Wanghia del 1844, fu nominata “nazione più favorita”. Una delle specialità americane è trarre profitto dai guai creati dagli altri (o, anche, indurre gli altri a creare guai da cui trarre profitto).
Fine di un amore.
La luna di miele fra Stati Uniti e Cina finì presto.
Fra il 1844 e il 1882, decine di migliaia di cinesi emigrarono negli Stati Uniti.
Fu quella forza lavoro che costruì, sopportando condizioni spesso estenuanti, le ferrovie americane.
Nel 1873, ci fu una delle cicliche crisi statunitensi: panico in borsa, ritiro di soldi dalle banche, fallimento di queste ed altre consuete amenità del panorama periodico USA.
In quella circostanza, i cinesi divennero il capro espiatorio: accusati di “rubare posti di lavoro” e di “accettare salari troppo bassi” (sembra che nulla sia cambiato da allora).
Il governo degli Stati Uniti approvò il Chinese Exclusion Act: se le nostre ricerche sono giuste, ci risulta essere il primo atto emesso negli Stati Uniti a vietare l’immigrazione basandosi esclusivamente sulla etnia.
(Si osservi che gli Stati Uniti furono i primi importatori di schiavi provenienti dall’Africa: ma quelli facevano comodo, i cinesi invece irritavano le masse).
La legge impediva ai cinesi anche di tentare la naturalizzazione come cittadini USA, per coloro che erano già residenti.
Con poche modifiche, la legge rimase in vigore fino all’inizio degli anni cinquanta.
A cavallo del nuovo secolo.
Così, il secolo si chiudeva con un clima di profondo risentimento verso i cinesi, sancita dalla esclusione legale e dalla discriminazione razziale.
A cambiare le cose, fu la Prima Guerra Mondiale.
Nel 1917, la Cina, sotto pressione degli Stati Uniti e dei suoi alleati, dichiarò guerra alla Germania: lo scopo era di avere un ruolo ai tavoli della pace, per recuperare i territori perduti durante le guerre perse con l’Impero Britannico.
Per la prima e unica volta, Stati Uniti e Cina si trovavano dalla stessa parte in un contesto militare.
Gli Stati Uniti, pensando ai vantaggi di affacciarsi sullo scenario di guerra quando ormai i giochi erano fatti, dimenticarono facilmente le inimicizie razziali con la Cina.
Anche in questo caso la luna di miele era destinata a finire: si affacciava sul teatro mondiale un nuovo (e sinistro) personaggio.
Mao Tze-Dong.
Dopo il 1948, la rivoluzione comunista in Cina, che abbatteva i residui della Cina imperiale, fecero rivedere i rapporti con gli USA.
Scoppiava la guerra fredda ed era evidente la collocazione della Cina oltre la cortina di ferro.
All’inizio degli anni cinquanta, gli Stati Uniti, reduci dalla Guerra di Corea, imposero rigidi embarghi commerciali con la Cina.
Mao rafforzava il suo potere e l’evidente divario ideologico fra l’America capitalista e la Cina comunista divenne un insormontabile ostacolo a qualunque forma di dialogo.
Gli Stati Uniti posero le proprie basi di rapporto commerciale e di alleanze strategiche in Asia con il Giappone, con Taiwan e Singapore: era una vera e propria strategia di contenimento e competizione per favorire un futuro di isolamento della Cina.
Quattrini.
Una cosa sola poteva indurre gli Stati Uniti a rivedere il proprio atteggiamento nei confronti della Cina: l’idea che la Cina potesse essere utilizzata per fare soldi.
Era il 1989. Mentre cadeva il muro di Berlino e implodeva l’Unione Sovietica, la Cina reagiva con la repressione alle rivolte di Piazza Tien An Men.
Gli Stati Uniti imposero o fecero finta di imporre sanzioni, comunque piuttosto limitate.
L’idea che in un paese comunista potessero essere fatti affari capitalisti solleticò le imprese americane, che iniziarono ad investire massicciamente nella produzione cinese, inaugurando un’era di cooperazione economica.
La grande illusione della caduta del muro, aveva reso i capitalisti privi di concorrenti, fino al punto che la Cina stessa rimaneva comunista nella politica e diventava capitalista nell’economia.
Il trionfo era totale.
Fu così’ che gli americani insegnarono ai cinesi come fare soldi con il capitalismo, guardando all’utile del giorno dopo, senza curarsi delle prospettive di più lungo termine.
Che ci importa delle differenze ideologiche se possiamo fare soldi insieme? Due spiccioli a loro e miliardi di dollari a noi, questa era l’erronea interpretazione americana del nuovo corso della globalizzazione inclusiva della Cina.
Il nuovo divorzio.
Oggi, siamo di nuovo alla fine della luna di miele e al divorzio.
I cinesi hanno imparato troppo bene e sono diventati i nuovi nemici.
Il ciclo ricomincia dall’inimicizia, dal sospetto, dalla diffidenza reciproca.
Poi, a proposito di diffidenza, è arrivato Trump.
Il problema è che i rapporti USA-Cina, oggi, hanno conseguenze a livello mondiale, molto più di un tempo.
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P.S.: I cinesi: c’è chi li adora, chi li disprezza, chi ritiene che saranno ineluttabilmente i nuovi padroni del mondo.
C’è chi si arrocca a dire che gli americani vinceranno sempre, guai a mettere in discussione la supremazia tecnologica americana, guai a mettere in discussione che gli americani siano avanti anni luce rispetto ai cinesi.
Tutto questo ha poca importanza, né di breve termine né di lungo termine, rispetto ai mercati.
E’ quasi irrilevante e chi sostiene il contrario non ha capito nulla dei mercati perché appartiene a quella categoria di giovanottelli destinati a scomparire perché crisi vere non ne hanno vissute, né si sono peritati di analizzarle sul serio.
Spiace citarmi, ma chi ha letto il Grande Crollo del 1987 sa che fine fanno quei giovanottelli.
Che Tesla abbia gli androidi più potenti, i brevetti di guida autonoma più evoluti, sono certamente realtà interessanti.
Ora, però, il titolo perde il 50% dai massimi. Spero che l’esempio sia chiaro. Guardiamo i numeri e poi pensiamo anche al resto.
Musk ha fatto perdere la fiducia nella sua immagine, associata alle sue aziende. Questo conta.
Poi, chi ha fiducia nei prodotti, può scommettere sul titolo Tesla, che oggi appare a buon mercato e sembra tenere l’area dei minimi.
E’ una scommessa, magari vincente, lo auguriamo di cuore a chi scommette. Noi la pensiamo in altro modo.
I mercati scelgono con la pancia.
Un sondaggio di Bank of America dice che il 53% degli investitori nelle prossime settimane conta di ridurre l’esposizione dai titoli americani.
Non importa se gli Stati Uniti sono avanti o indietro con la tecnologia. Importa se sanno ispirare fiducia al mercato.
Una capacità che, al momento, con Trump e i suoi, hanno totalmente perso.
Se non si cambia strada, la battaglia è persa in partenza.
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