Settimana convulsa, siamo nel caos?
La settimana appena trascorsa ha messo in seria discussione che la certezza del risultato elettorale americano sia stata sufficiente a normalizzare i mercati.
Fra i tre indici americani, il Dow Jones ha mostrato fin dall’inizio di dicembre una significativa divergenza rispetto ai cugini Nasdaq ed S&P500, divergenza che, in realtà, è stata anticipatrice.
Il Dow aveva raggiunto il picco con il massimo storico di 45.173 il 4 dicembre.
E’ sceso ininterrottamente per nove giorni fino al 17 dicembre.
Ha mostrato poi qualche esitazione il 18 dicembre, prima della conferenza di Powell: quasi ad attendere un pronto recupero post-Fed.
Il taglio di 25 punti base, già scontato dal mercato, non è bastato invece a fermarne la discesa, e il decimo giorno di ribasso è stato drammatico, con 1100 punto di discesa.
Una leggera balbuzie di Powell sul mercato del lavoro e la delusione per una minore riduzione dei tassi nel 2025 hanno evocato lo spettro di una recessione con tassi elevati, il peggiore scenario possibile da immaginare.
La divergenza con Nasdaq e S&P500 di fatto veniva quasi colmata in un giorno solo, con le discese violente e contemporanee dei tre indici principali americani.
Un’altra accelerazione clamorosa del Vix, che da 15 esplodeva a 28.50, faceva da sfondo alla giornata del 18 dicembre.
Un tentativo di piccolo rimbalzo dei tre indici nel giorno 19 dicembre veniva prontamente smentito con una chiusura sui minimi e uno scenario di grande paura.
Venerdì 20 dicembre alle 14.30 ora europea veniva pubblicato il Core PCE Price Index, che smentiva la lettura inflazionistica post-Fed.
Alle 16, il Consumer Sentiment dell’Università del Michigan confermava uno scenario positivo.
Gli indici americani trovavano la forza per un rimbalzo sembrato da subito potente.
L’indice Dow Jones dopo essere sceso di 2927 punti in due settimane, la più forte discesa del 2024, invertiva la rotta di 1000 punti, all’unisono con gli altri due indici.
Ma nelle ultime battute di chiusura, i tre indici tornavano ad arretrare.
Il Dow Jones perdeva circa la metà dei 1000 punti recuperati, e altrettanto facevano gli altri due indici.
Un nuovo paradigma per la volatilità implicita.
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Qui sopra trovi il grafico del nostro indicatore Volatility Flow Index, mostrato più volte durante le nostre Classroom e negli articoli dedicati agli abbonati a Traders’ Magazine.
Il movimento disegnato dall’indicatore nella settimana passata è compreso all’interno di due trend line dinamiche.
Quello che c’è di nuovo è che l’indicatore non ha mai avuto un movimento così repentino di su e giù, nel corso della storia.
Il 18 dicembre ci introduce ad una nuova narrativa nell’interpretazione della volatilità implicita delle opzioni.
Tempo di terremoti.
Chi ha vissuto i terremoti, sa che incutono paura, ma che il post-terremoto induce logoramento di nervi.
E’ la conseguenza, naturale per i sismologi, delle scosse di assestamento, che possono protrarsi anche per molti mesi.
In prima approssimazione, possiamo dire che il movimento del 5 agosto è stato un terremoto di tale intensità nella accelerazione di volatilità, da presupporre che possano esserci scosse di assestamento.
Il 18 dicembre è una scossa di assestamento robusta. Un calo dell’S&P500 del 4% (da massimo a minimo) ha indotto una accelerazione di volatilità da 15 fino a 28.5.
L’analogo calo il 5 agosto ha prodotto una accelerazione da 22 a 66: il decollo era avvenuto da più in alto e, soprattutto, il 5 agosto era il terzo giorno di ribasso di un movimento complessivo che da massimo a minimo ha registrato un -8.3%.
I valori di ribasso di cui parliamo sono nella normalità. Eppure la volatilità implicita misurata dal Vix sembra reagire in modo molto più accentuato di quanto non facesse in passato.
E’ chiaro che un aumento di volatilità di quasi il 100% con un calo del 4% non corrisponde a quello che abbiamo visto in passato sul Vix.
Come se il 5 agosto avesse prodotto un’onda talmente forte da farne risentire le conseguenze ancora oggi.
L’apparente area di comfort ripristinatasi dopo il giorno dell’elezione di Trump sembra ora essere messa in seria discussione.
Che cosa c’è di diverso.
La misura della volatilità ha discussioni che provengono dagli studiosi degli ultimi 40 anni dell’800.
E’ proseguita con premi Nobel, della statura di Samuelson ed altri, che hanno aperto poi la strada a Black, Sholes e Merton per creare la formula che governa il calcolo delle opzioni (che noi ricordiamo come formula di Black & Sholes).
Probabilmente non abbiamo ancora finito di scoprire realmente la volatilità e, soprattutto, il modo di misurarla efficacemente.
Il Vix misura le opzioni comprese fra 23 e 37 giorni, facendo un arbitrio di media lineare a parità di strike della volatilità delle opzioni comprese all’interno di tali range di date.
Sappiamo che le opzioni di lineare non hanno nulla e il metodo di calcolo attuale del Vix, che risale al 2003, contiene tale arbitrio.
E le Zero Day?
Nel 2003 non esistevano le Zero Day e le infrasettimanali. Esistevano già le settimanali del venerdì.
Si obietta a tale osservazione, dicendo che sono stati creati degli indici derivati dal Vix che misurano la volatilità delle opzioni a pochi giorni: e questo è vero, ma non risolve il problema.
Le opzioni di brevissimo termine muovono la volatilità del mercato, perché obbligano a decisioni rapidissime di copertura e di alterazione delle posizioni.
Creano movimento sul mercato. Creano volatilità, che ha sicuramente una ripercussione sul mercato.
Ma c’è molto, molto di più.
E’ noto che l’S&P500 è condizionato da soltanto pochi titoli guida.
Possiamo considerare le sette Magnifiche, o estendere l’ambito fino al decimo titolo per capitalizzazione, che è la Berkshire Hathaway di Warren Buffett.
Il 33% dell’indice è sottoposto alla pressione dei titoli guida, che sviluppano una forza tale da diminuire in modo rilevante l’effetto di movimento degli altri titoli.
Se osserviamo la volatilità implicita delle opzioni di tali titoli, e, anche, dei titoli del comparto tecnologico, trainati dai titoli guida, ci accorgiamo che essa è molto più elevata che sugli altri titoli.
Nei nostri articoli recenti e anche nelle nostre due ultime Classroom destinate agli abbonati, abbiamo sottolineato come il listino S&P500 fosse in ostaggio delle sette Magnifiche: un crollo delle sette Magnifiche, anche per normali prese di beneficio, avrebbe azionato un crollo deciso dell’indice.
E’ esattamente quello che è accaduto: le sette Magnifiche sono state vendute massicciamente insieme dal mercato, inducendo il calo delle tecnologiche prima e di tutto il listino poi.
Il problema ora è: ma se le tecnologiche pesano di più in volatilità, e se le sette magnifiche sono diventate di fatto i carrarmati capaci di trainare tutto il listino, la loro volatilità maggiore condiziona in modo più marcato rispetto al passato la volatilità implicita del Vix?
Ho una sola risposta.
Semplicemente, dopo il 18 dicembre, non c’è più alcun dubbio: il Vix sta reagendo in modo molto più pronunciato che in passato, perché la volatilità implicita mossa dalle Magnifiche e dalle tecnologiche ha un peso maggiore di tutto il resto del listino.
Un listino maggiormente equipesato distribuisce la volatilità implicita su un grande numero di titoli, anche a bassa o media volatilità.
Un listino dove i titoli guida che lo muovono hanno una volatilità più alta è soggetto ad una onda di volatilità molto maggiore.
Ora, ne abbiamo un riscontro troppo evidente.
Rivoluzione epocale.
Quello che ho detto sopra, più che un cambiamento di scenario è una rivoluzione epocale.
Ci troviamo all’interno di una area temporale che vedrà sbalzi di volatilità, cambi di umore improvviso, perché siamo in ostaggio delle sette Magnifiche.
Un po’ come dire che la incapacità del capitalismo di distribuire la ricchezza in modo più equo, da fenomeno meramente economico, ora comincia a pesare drammaticamente sulla finanza, partendo dal suo lato più esposto: la volatilità implicita delle opzioni.
Le conseguenze.
Il cambio di paradigma che ci aspetta è faticoso.
Tutti i sistemi interpretativi della volatilità implicita sono da mettere seriamente in discussione.
Il grafico del Volatility Flow con il suo incredibile su e giù repentino a cavallo dell’area di maggiore rischio suona come una sirena di allarme che molte cose sono cambiate.
WEBINAR
Sul nostro canale webinar, discutiamo di interventi successivi ad una aggressione da parte del mercato su una strategia di opzioni a breve termine, con esempi concreti, tratti dalla realtà operativa.
E con l’esempio del 18 dicembre, cerchiamo di costruire il nostro futurocon una nuova sicurezza e assoluta capacità di dominare il rischio.
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Maurizio Monti
Editore
Traders’ Magazine Italia
P.S.: Non è bastato il risultato elettorale, questa è la notizia, a calmierare il mercato e soprattutto a contenere la volatilità implicita.
Condividi con noi 55 minuti di Cultura sul contenimento del rischio: clicca per vedere subito il webinar.
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