I club deal stanno trasformando in maniera sempre più significativa il panorama italiano degli investimenti, configurandosi ormai come strumento alternativo a sostegno della crescita delle PMI e dell’economia reale.
Iniziano a diffondersi negli USA negli anni 90 per poi espandersi oltreoceano nei decenni successivi. In Italia, dopo il boom registrato nel 2022, il trend è poi proseguito con una crescita notevole e sostenuta anche nel 2023 e nel corso del 2024.
Secondo quanto emerge dalle rilevazioni dell’Osservatorio sugli investimenti diretti e i Club Deals – fondato nel 2018, da Nicola Anzivino e Leonardo Valentini del team Family Office PwC Italia, con l’obiettivo di analizzare la tendenza delle famiglie imprenditoriali italiane nel convogliare le proprie risorse finanziarie verso l’economia reale – nel periodo esaminato 2018-2024 sono state effettuate complessivamente 638 operazioni, di cui 194 solo nel 2023.
Il 2023, infatti, è stato l’anno in cui sono state mappate più operazioni di investimento da parte di Famiglie e Family Offices: più 25,2% rispetto al 2022.
L’interesse verso il mercato dei private markets ha favorito l’intervento di operatori alternativi in risposta all’inerzia del mercato pubblico.
I club deal stanno emergendo in maniera sempre più crescente come una valida alternativa per quegli imprenditori e investitori che sono alla ricerca di flessibilità e controllo diretto dei propri investimenti.
La loro genesi risiede in una struttura di investimento in cui un gruppo di investitori si unisce per supportare con capitali e competenze PMI innovative e con un elevato potenziale di crescita, evidenziando un maggior coinvolgimento diretto rispetto ai fondi di private equity tradizionali.
Un gruppo di imprenditori crea una struttura di investimento volta all’acquisizione, in comproprietà, di partecipazioni in società o in specifici assets. In questo modo, gli investitori possono realizzare operazioni più complesse e articolate che risultano generalmente superiori alle loro possibilità individuali.
Possono, altresì, diversificare il rischio spalmando il proprio capitale su una serie di investimenti, e ridurre così l’impatto di eventuali perdite derivanti da singole operazioni.
Le operazioni si sviluppano generalmente in tre fasi principali:
- set-up, la fase iniziale in cui le risorse vengono messe a disposizione dagli investitori;
- la fase ongoing, in cui avviene l’investimento e la sua gestione;
- la fase di exit dall’investimento, ossia il momento in cui – una volta concluso l’investimento – si raccolgono i frutti.
Tra le prime due fasi ne intercorre una intermedia, di studio del mercato, col precipuo obiettivo di decidere il tipo di investimento e di definire una exit strategy, che determinerà la fase finale.
Le famiglie italiane, che possiedono patrimoni consistenti, mostrano nel corso degli ultimi anni un notevole interesse ed una maggiore propensione agli investimenti diretti in private capital.
Quest’ultimi si configurano come investimenti pazienti dato che essendo illiquidi, implicano l’adozione di un approccio di medio-lungo termine.
Questa tipologia di investimenti richiede così un maggior coinvolgimento nell’azienda che, grazie a questi capitali alternativi, si trova nelle condizioni ideali per sviluppare progetti che altrimenti sarebbero irrealizzabili.
In alcuni casi i club deal rappresentano, peraltro, una fonte alternativa di accesso al capitale rispetto al canale tradizionale bancario, specialmente per le piccole o medie realtà.
Da notare come sia aumentato il numero di operatori specializzati ai quali gli imprenditori si affidano e che creano veicoli ad hoc con una strategia di investimento secondo la modalità del Club Deal.
La linfa vitale alle operazioni di Club Deal arriva in particolare dai Family Office, ai quali questa formula di investimento risulta molto congeniale.
L’imprevedibilità ed incertezza mostrata dai mercati tradizionali, le politiche monetarie spesso restrittive, lo scenario geopolitico instabile nel corso degli ultimi anni, sono stati alcuni dei fattori che hanno fatto da propulsore a questa forma di investimento, per la quale l’outlook appare stabile e in una fase di ulteriore crescita nel prossimo futuro.
Secondo l’analisi di Milano Finanza, delle oltre 300 operazioni concluse, 194 sono primi investimenti e 133 sono i cosiddetti add-ons, distribuiti tra 18 operatori seriali (Club Deal Piattaforma) e 89 operatori occasionali (Club Deal Opportunistici), e clusterizzati sulla base del numero di transazioni concluse e della struttura operativa interna.
In quanto frequent buyer, l’analisi ha riguardato i soli Club Deal Piattaforma con 14 rilevazioni (236 investimenti di cui 112 add-ons) su 18 operatori.
Il mercato sembra privilegiare i leveraged buyouts (LBO) di controllo (140 nel complesso); le operazioni di minoranza si rivelano residuali, mentre si conferma un pilastro saldo la strategia di crescita aggregativa.
Ancora limitati i disinvestimenti, per i quali più del 50% vengono acquisiti da fondi.
Sul versante della governance prevalgono le piattaforme con un unico veicolo, con investimenti dei promotori e di terzi nel veicolo creato ad hoc – la SPV – affiancate da strutture a più livelli (modello Club House con Holding capitalizzata che a sua volta investe nel SPV).
I soci promotori investono tra il 5% ed il 10% del capitale, con un ticket di investimento complessivo che si posiziona in un range che oscilla nell’intervallo 10 – 30 milioni.
Il Club Deal generalmente conta per lo più 40-50 investitori (tra cui Family Office e HNWI) con un tasso di ricorrenza piuttosto elevato (nell’ordine del 60-80%), mentre risulta piuttosto esigua la presenza di investitori stranieri (e su quest’ultimo aspetto la classe dirigente politica e gli operatori di mercato dovranno concentrare i propri sforzi ed agire prontamente affinché si riesca a rendere, nel minore tempo possibile, l’Italia maggiormente attraente per gli investitori su scala globale).
La struttura del club deal risulta particolarmente apprezzata, poiché i suoi partecipanti mantengono un controllo più diretto sulle decisioni di investimento, riducendo la burocrazia e i costi.
I benefici e vantaggi derivanti dai Club Deal sostanzialmente sono riconducibili a:
- un coinvolgimento elevato e diretto da parte degli investitori, che permette alle società in cui si investe, di usufruire non solo del capitale finanziario ma anche di quello intellettuale (risulta fondamentale il binomio risorse finanziarie – competenze specifiche);
- una certa flessibilità offerta da questa forma di investimento che consente di adattare rapidamente le proprie strategie di investimento alle mutevoli condizioni di mercato;
- una maggior personalizzazione e diversificazione delle strategie di investimento, che ben si adatta alle molteplici esigenze degli imprenditori e degli investitori.
- una marcata trasparenza assicurata nel corso di tutto il processo di investimento;
- una certa attrattività degli investimenti tipica delle strategie di investimento del Private Equity che pongono il loro focus su aziende ad alto potenziale di crescita;
- una significativa decorrelazione delle performances delle PMI, in cui si investe, dai trends dei mercati finanziari.
Il modello del Club Deal, pertanto, se viene creato e strutturato sapientemente ad hoc, consente senza dubbio di competere con notevole efficacia con i fondi di private equity tradizionali.
Inoltre, nel corso dei prossimi anni continuerà a rappresentare una significativa evoluzione nel mondo degli investimenti, oltre ad assolvere alla sua imprescindibile funzione di sostegno alla crescita delle PMI.
Diego Scialpi