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La deformazione di spazio e tempo, per tutti, sulla terra: questa fu la conseguenza del terremoto sottomarino che colpì il Giappone l’11 marzo del 2011.
La magnitudo fu 9.0 della scala Richter e colpì il Giappone orientale, il peggiore evento in 140 anni, che scosse il fondale marino a 45 miglia dalla costa, generando sei minuti da incubo, un armageddon apocalittico.
La costa colpita si sollevò dalle fondamenta spostandosi di quasi 4 metri in direzione degli Stati Uniti.
Una sezione della superficie terrestre affondò, comprimendo il pianeta, facendolo ruotare più velocemente e accorciando la durata del giorno di 1.8 microsecondi.
Lo tsunami che si abbattè sulla costa lasciò 28.500 morti o dispersi.
La centrale nucleare di Fukushima si trovava a 60 miglia dall’epicentro. I suoi sistemi difensivi spensero i reattori nucleari, circondando il nocciolo con refrigerante per evitarne il surriscaldamento.
Ma si trattava di un evento che la mente umana non aveva neanche lontanamente ipotizzato. Le onde causate dallo tsunami raggiunsero i 14 metri di altezza distruggendo la diga protettiva e allagando l’impianto.
Tutti i tentativi successivi di domare la forza dell’atomo fallirono, i reattori si surriscaldarono e i nuclei di uranio si sciolsero parzialmente, inquinando di materiale radioattivo tutta l’area circostante.
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (quella che da molti mesi ci mette in guardia sul rischio delle centrali nucleari ucraine) classificò il disastro come livello 7: uguale al disastro di Chernobyl del 1986.
Per lungo tempo tutta l’area dell’ex centrale di Fukushima rimarrà inabitabile, per un numero imprecisato di anni, decenni o secoli.
L’impatto emotivo sulla popolazione giapponese fu enorme. Simile a quello che indusse gli italiani, in un memorabile referendum indetto dopo il disastro di Chernobyl, a rinunciare all’energia nucleare.
Il 70% degli intervistati a un sondaggio dell’agenzia di stampa giapponese Kyodo, nel 2011, era favorevole alla eliminazione dell’energia nucleare. E il governo chiuse tutti i 54 reattori nucleari, anche se solo 15 di essi erano considerati a rischio di danni da tsunami.
La decisione fu più che coraggiosa. Il Giappone, a quel tempo, dipendeva per il 30% dall’energia nucleare.
Ci fu una immediata conseguenza di questo. Forse alcuni investitori lo ricordano: il prezzo dell’uranio precipitò a livello globale, venendo meno uno dei principali consumatori.
Le centrali giapponesi assorbivano infatti il 10% del consumo mondiale complessivo di uranio. Il prezzo fra il 2011 e il 2016 crollò di circa il 70%.
In epoca recente, dopo un picco temporaneo a gennaio del 2022, l’uranio è solo sceso e ora viaggia su minimi importanti.
Ma in Giappone sta avvenendo qualcosa che rovescerà la tendenza.
Dopo la chiusura delle centrali nucleari nel 2011, il Giappone dovette ricorrere ad un massiccio aumento dell’importazione di combustibili fossili, diventando, in 12 anni, il secondo importatore netto dopo la Cina e soddisfacendo in questo modo il 90% del suo fabbisogno energetico.
Il Giappone è la terza economia del mondo con un prodotti interno lordo di 4.4 trilioni di dollari, appena dietro gli Stati Uniti e la Cina. Nondimeno è uno dei paesi meno autosufficienti dal punto di vista energetico, dopo il Lussemburgo.
La vulnerabilità del Giappone agli shock dei prezzi dell’energia è molto elevata. Il Giappone ha 125 milioni di abitanti che vivono in una economia complessa ed avanzata. Ma le loro bollette possono aumentare in un istante a causa di eventi geopolitici, anche distanti migliaia di chilometri.
Così la guerra russo-ucraina non ha aumentato la bolletta energetica soltanto per l’Europa ma anche per il Giappone: alcune zone ora pagano fino al 70% in più di quanto pagavano un anno fa.
Un nuovo sondaggio lanciato lo scorso marzo vedeva una inversione netta di tendenza nell’opinione pubblica giapponese: il 53% si manifestava a favore di una ripresa di funzionamento delle centrali nucleari lontane dal rischio tsunami.
Il governo ha così sostenuto il riavvio dei reattori nucleari rimasti inattivi nel paese, approvando nel contempo un piano di costruzione di impianti di nuova generazione.
Se la ragione principale è da ricercarsi nell’aumento del costo dei combustibili fossili, c’è una ragione secondaria del tutto inaspettata.
Regno Unito e Unione Europea hanno approvato l’energia nucleare come fonte di energia rinnovabile nella produzione di idrogeno verde. Questo significa che l’energia nucleare viene classificata come “energia verde”.
Sulla scia del Giappone, la Corea del Sud aumenterà l’impiego dell’energia nucleare, con un piano già approvato che porterà al soddisfacimento del bisogno interno del 30% entro il 2030.
L’Agenzia internazionale per l’Energia afferma che gli investimenti globali nell’energia nucleare triplicheranno entro il 2030, fino a superare la soglia dei 100 miliardi di dollari l’anno.
In tutto questo, un ruolo molto importante verrà svolto proprio dalla rinascita nucleare del Giappone: il paese si è impegnato alla neutralità dal carbonio entro il 2050.
Delle 54 centrali funzionanti nel 2011, 33 sono quelle che possono essere riattivate, di queste 10 sono già state riavviate e 2 sono in costruzione.
Stiamo vivendo i primi mesi della rinascita nucleare del Giappone.
Questo, a nostro avviso, porterà ad una potente inversione del prezzo dell’uranio nei prossimi 5 anni, quando le scorte giapponesi di uranio verranno smaltite, mentre comincerà gradualmente ma inesorabilmente una massiccia e crescente domanda di uranio a livello globale.
Attualmente il prezzo di mercato dell’uranio disincentiva l’attività dell’industria mineraria del settore, che sta perdendo circa 1.3 miliardi l’anno.
Un aumento del prezzo di circa il 20% rispetto al prezzo attuale renderebbe di nuovo conveniente per le miniere tornare a produrre uranio, soddisfacendo la domanda tendenziale crescente e andando a coprire l’offerta ora esistente sul mercato secondario, derivato dal commercio delle scorte.
I prezzi si sono adagiati su livelli da scomparsa tendenziale dell’energia nucleare: ma sembra che accadrà esattamente il contrario.
Il nostro outlook sul prezzo dell’Uranio è positivo per i prossimi 5 anni: gli investitori che sono tolleranti alla volatilità dei prezzi di una commodity di questo tipo, possono farci seriamente un pensiero sopra.
Maurizio Monti
Editore Traders’ Magazine Italia
P.S.: Come sarà giugno? Mese incerto per definizione nelle borse americane, come hai visto nei nostri recenti articoli.
Venerdì scorso l’S&P500 ha fatto un nuovo massimo relativo, sfondando resistenze importanti e puntando al massimo di agosto 2022, punto di inversione da short a long del mercato. Ce la farà o tornerà indietro?
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