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L’eco lontana della crisi finanziaria del 2008

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Il fascino di ascoltare

Ad agosto del 2007, l’S&P500 diede il primo sinistro avviso della crisi finanziaria che avrebbe afflitto il mondo nell’anno successivo.
 
Si cominciava a parlare di mutui subprime, ancora in modo sommesso, era la crisi di Wells Fargo, preoccupante ma sembrava più una meteora, piuttosto che uno tsunami.
 
Dal massimo di 1510.50 il future toccò il minimo a 1374.50. Poi recuperò rapidamente e il mese chiuse in positivo.
 
Spesso accade, sui mercati, che i livelli estremi delle cosiddette spike, i picchi di volatilità, negativi o positivi che siano, diventano livelli importanti futuri.
 
A marzo del 2007, il mercato aveva già fatto un affondo, partendo da un livello molto più basso, ed era arrivato a 1368.75. Il minimo di agosto era un doppio minimo di fatto di quel primo affondo primaverile.
 
In settembre ed ottobre del 2007, il mercato sembrò dimenticare quell’episodio e nei primi quindici giorni di ottobre segnò un massimo storico, che tale sarebbe rimasto per lungo tempo.
 
Poi le cose peggiorarono, e ai primi di gennaio 2008 il future tornò su quei minimi, a 1370 circa.
 
O un triplo minimo con un recupero o un affondo micidiale. Una delle due cose sarebbe accaduta.
 
Accadde la seconda. Ormai si diffondeva la consapevolezza che nella pancia di grandi istituzioni finanziarie mondiali c’erano montagne di carta con un valore reale simile allo zero.
 
La rottura di quei minimi fu molto significativa perché significò che il mercato si era girato: da rialzista a ribassista.
 
Torniamo ai tempi recenti.
 
Il 19 luglio 2021, il future dell’S&P500 toccava un minimo a 4224. Il primo di ottobre a 4260. Il fatidico 24 gennaio 2022 a 4212. Il 27 e 28 gennaio a 4263, minimo simile a quello del primo ottobre.
 
Diciamo che la rottura di 4212 sarebbe un sintomo grave di reverse del mercato, molto simile a quello che si verificò a gennaio del 2008. Dal punto di vista tecnico, la fine temporanea del ciclo rialzista.
 
Ieri il mercato ha fatto un affondo fino all’area 4400. Nella giornata di contrattazione 4480 era dato come soglia, probabilmente inviolabile. Un supporto estremo, 20 punti sotto i 4500, diciamo il valore delle PUT vendute a 4500, quindi 4480 era effettivamente un’area di reazione, di forte supporto.
 
Così non è stato.
 
Il sell-off è stato furioso, la discesa lineare e senza soluzione di continuità.
 
A fine seduta, piccoli rimbalzi di 20-25 punti, per evitare di chiudere a 4400, e la chiusura è stata a 4418.
 
Ma alle 22, chiusura dell’azionario, era 4407, molti investitori non hanno voluto rimanere in posizione il venerdì sera ed hanno venduto, in apparente panic selling dell’ultimo minuto.
 
Nondimeno, la volatilità non è esplosa. Il Fear & Greed Index di CNN misurava un 34, sì paura, ma non panico.
 
Lunedì 14 febbraio, c’è una riunione straordinaria a porte chiuse della FED: un evento a cui non assistevamo da molto tempo.
 
È probabile che il mercato abbia anticipato un rialzo dei tassi già da lunedì, anziché da marzo. Interessante chiedersi se ha anticipato uno 0.25% o uno 0.50%, le congetture sono aperte, guardando il comportamento dei Treasury americani.
 
Del resto l’inflazione al 7.50%, annunciata giovedì, ha spaventato a sufficienza i mercati (ti ricordi che era “transitoria e persistente”? ora è proprio “agghiacciante”).
 
Doveva essere un primo trimestre tumultuoso e ce lo aspettavamo.
 
Intorno c’è una crisi militare (presunta?) ai confini dell’Ucraina, gli effetti economici della pandemia, la crisi dei semiconduttori, la crisi energetica, la crisi dell’immobiliare cinese (in realtà la crisi implosiva del sistema cinese).
 
Vogliamo metterci anche la paura che l’invasione di Taiwan da parte della Cina possa diventare, prima o poi, realtà?
 
Sì, ce ne è abbastanza per un mercato tumultuoso.
 
Per una qualche ragione le opzioni del 18 febbraio erano sovrapprezzate, sintomo importante. Ci aspetta una settimana difficile, la prossima.
 
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