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Economisti e galline faraone

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Chiunque abbia dimestichezza con la campagna (e la buona tavola) conosce quel piccolo pennuto animale da cortile che si chiama “gallina faraona”. Detto animale è ottimo da mangiare (specialmente arrosto), ma ha una strana caratteristica; la sua stupidità si spinge fino al conformismo suicidario. Difatti, se una faraona si butta o cade in un corso d’acqua o uno stagno, tutte – ripeto: tutte – le altre faraone vi si buttano volontariamente e annegano, perché non sanno nuotare.

Ebbene, quando si leggono le “ricette” che gli economisti, dall’alto della loro sapienza, dispensano alle incolte plebi, si ha l’impressione che essi abbiano il quoziente di intelligenza delle faraone, o forse anche un tantino inferiore.

Che cosa vi dice infatti il Presidente dell’Istituto di Ricerca Economica X intervistato dallo zelante cronista su come far ripartire l’economia? Ma è semplice: “Occorre spostare la tassazione dal lavoro alle rendite!” e che vi dice il chiarissimo Professor Z, illustre cattedratico? “Spostiamo la tassazione dal lavoro alle rendite!” e i sommi sacerdoti dell’OCSE, che vi dicono? Ennesima perla di sapienza distillata da cotante menti: “Spostate il carico fiscale dal lavoro alle rendite (o ai patrimoni)!”.

Par di vederli, questi oracoli, mentre storcono le boccucce esangui pronunciando l’orrida parola: “rendite”, e chissà se nella mente dell’intervistatore penetri mai un raggio di luce che, illuminandogli il pigro encefalo, gli insinui un salutifero dubbio che lo spinga finalmente a chiedere al trombone di turno: “Ma si può sapere che diavolo hai voluto dire?”.

L’ignorante in economia che sta scrivendo queste righe crede di aver appreso un tempo che le rendite – dai canoni di affitto degli immobili ai dividendi delle azioni agli interessi obbligazionari e così via – altro non sono che il modo in cui il denaro accumulato con il lavoro (nella sua più ampia accezione) viene successivamente impiegato con la speranza appunto di ricavarne un provento più o meno costante; insomma, la rendita è il “premio”, per dir così, del risparmio, il quale a sua volta o è costituito da denaro liquido, o ha preso la forma di immobili e titoli.

Visto che le cose stanno così (smentitemi se potete), si può far notare che colpire con la leva fiscale il premio del risparmio (e quindi del lavoro) o il risparmio stesso (patrimonio) non dovrebbe far bene nemmeno al lavoro. In altre parole, non si capisce perché degli economisti con laurea e anni di ricerca alle spalle (si spera) parlino in siffatto modo presupponendo un’antitesi radicale fra lavoro e rendita, come se ignorassero la circolarità che caratterizza i fenomeni dell’economia.

Si potrebbe obiettare che un riequilibrio può rendersi necessario in caso di eccesso del carico fiscale sui redditi da lavoro rispetto a quello sulle rendite finanziarie o immobiliari, o sui patrimoni; ma sappiamo che non è questa la situazione, basti pensare alla riduzione quasi a zero degli interessi sui conti bancari o – quanto ai patrimoni – al carico fiscale sugli immobili, che è cresciuto negli ultimi anni proprio mentre si riduceva la possibilità concreta, a causa della crisi, di trovare locatari solvibili.

Dunque? Dunque affermazioni come queste non trovano riscontro né nella teoria economica (per la falsità del presupposto, come detto più sopra) né nella situazione fiscale attuale, non solo italiana, ma anche europea, talché un aumento della imposizione fiscale o sulle cosiddette rendite, specie quelle immobiliari, o direttamente sui beni patrimoniali stessi (imposta patrimoniale sui depositi bancari, aumento dell’IMU, ecc.) avrebbe un effetto disastroso, non certo salvifico, sull’economia.

Ma voglio ritornare qui alla presunta contrapposizione “lavoro vs rendite”. Essa può avere senso solo quando, esaminando la cosiddetta base produttiva, si constata che, ad esempio per carenza di manifatture, invecchiamento delle tecnologie produttive, gestione inefficiente delle aziende, il “lavoro” (sempre da intendersi nella sua accezione più estesa) non produce abbastanza reddito da garantire tutto quanto da esso dipende (commercio, servizi, gettito fiscale e, appunto, remunerazione del risparmio), sicché in tal caso tutto quanto dipende dalla produttività in via derivata e secondaria finisce per consumare quote crescenti di reddito.

Solo in questo senso, ripeto, è ragionevole allarmarsi per una prevalenza della “rendita” sul “lavoro”, ma in tal caso non è certo l’aumento della tassazione sulle rendite che allarga la base produttiva, e crederci sarebbe come credere che si possa sanare uno storpio azzoppando chi ha le gambe sane.

Ho già detto prima che colpire la rendita significa colpire il risparmio e quindi, alla fine, colpire il lavoro stesso. Chi lavora, infatti, non spera forse di mettere da parte qualcosa per sé o per i figli? E non è forse vero che questa preoccupazione cresce con l’aumentare dell’età, sicché i pensieri e le aspirazioni di chi ha cinquant’anni non sono le stesse di chi ne ha trenta? O forse questi economisti pensano ad una umanità immaginaria fatta di venticinquenni dotati di tre master, che non invecchiano mai, non si accoppiano mai, non hanno progenie alcuna, guadagnano centinaia di migliaia di euro che non si sa come impieghino, viaggiano per il mondo come trottole, ma dormono sotto i ponti perché odiano gli immobili?

Ce lo dicano queste arche di sapienza, ci dicano che razza di umanità hanno in mente quando ci dispensano le loro trite e ritrite assurdità, perché francamente non si era mai vista, da parte dei rappresentanti della scienza economica, una tale ignoranza non solo dell’animale “uomo” e dei moventi del suo agire, ma anche dell’economia stessa, perché sarebbe una ben strana economia di mercato quella che pretendesse di funzionare colpendo proprietà e risparmi.

E concludo: care galline faraone, anzi, scusate: cari economisti, se proprio volete annegarvi, fatelo senza di noi.

 

Luigi Tirelli

Nato in Reggio Emilia il 5/09/1967
Maturità Classica al Liceo L. Ariosto di Reggio Emilia Premio Straordinario Lyons Club di Firenze al Certamen Classicum Florentinum anno 1986 Laurea in Giurisprudenza all’Università di Modena Avvocato del Foro di Reggio Emilia
Vive e lavora in Rubiera (RE)

 

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