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Neanche le Banche Centrali sanno come finirà

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Il trading non è previsione, è metodo. Per le borse, la settimana trascorsa è stata quella che si presumeva dovesse essere: un su e giù determinato dalla concentrazione di notizie, una di seguito all’altra.

La giornata di martedì scorso è stata dominata dal dato sulla inflazione americana, che è stata un’ottima occasione per le mani speculative per dare una iniezione di euforia che ha permesso di vendere da più in alto possibile.

L’S&P500 ha toccato, finalmente, il 50% del range fra il massimo del 5 gennaio e il minimo del 13 ottobre: livello di cui abbiamo parlato più volte nei nostri articoli passati.

Da tale livello è stato respinto piuttosto violentemente, nella stessa giornata, a riprova che si trattava di pura euforia.

Da quel momento, più o meno le 19.30 di martedì, il mercato è solo sceso, sulla scia, o sul pretesto, delle notizie successive, andando a toccare il supporto della media mobile a 100 nella chiusura di giovedì, e poi andando alla stazione seguente, la media mobile a 50, nella chiusura di venerdì a 3879 del future di marzo: venerdì che era, infatti, anche scadenza tecnica.

Nei nostri scenari, c’era un punto di inversione fra il 6 e l’8 dicembre, e un altro il 23 dicembre. In realtà la prima discesa è iniziata l’1 dicembre, il 6-7-8 l’S&P500 ha invertito al rialzo, per poi, come detto sopra, ricominciare a scendere.

In questa settimana, se il mercato continua a scendere, potremmo vedere 3800 o anche 3770 come prossimi supporti. E intorno al 23 dicembre una pausa o una temporanea ripresa fino a fine anno.

Dall’analisi del mercato delle opzioni, sulla prima quindicina di gennaio, non c’è molto da stare allegri. 

Il prossimo punto di inversione è collocato intorno al 13 di gennaio, una settimana prima della scadenza tecnica mensile. 

Se dovesse essere una discesa ulteriore da fine dicembre per due settimane, andremmo parecchio in basso, sempre più vicino all’area di minimi di ottobre. Ma non è detto, ovviamente che sarà così, nondimeno è probabile.

Ciò che sembra, anche guardando i mercati europei, per esempio la follia del Dax, che ha fatto dall’ultimo minimo al massimo di martedì sera un +24%, è che l’esuberanza irrazionale sia finita e si stia trasformando in confusione e tendenza al caos.

Il vero problema è che gli investitori dopo anni di droga rialzista e tassi di interesse azzerati, ora fanno fatica a riadattarsi alla nuova realtà: come spesso avviene in finanza, la memoria storica che non possono esserci solo rialzi e arrivano anche i momenti di crisi, si perde molto facilmente. Malgrado un anno di ribassi.

Il sogno dell’”atterraggio morbido”, cioè del contenimento dell’inflazione senza una pausa recessiva o qualcosa di peggio di una recessione, ha profondamente coinvolto gli investitori dopo la metà di ottobre.

Il linguaggio delle banche centrali è stato un continuo sisma ondulatorio, facendo intravvedere spiragli e poi annunciando rigore.

In realtà, nessuno sa che cosa può accadere in una situazione come quella che stiamo vivendo, non perché in passato non ci siano stati periodi di alta inflazione, di recessione, e di aumento dei tassi.

Semplicemente questo non è mai avvenuto dopo anni di iniezioni intensissime di liquidità e accumulo mostruoso di debito pubblico.

Quando si fa riferimento a Volcker, che dominò l’inflazione all’inizio degli anni ottanta, a prezzo di una recessione economica disastrosa, si dimentica che il debito pubblico degli Stati Uniti dell’epoca era di 831 miliardi di dollari, contro i 30 trilioni di oggi.

Sarà la stessa cosa o sarà diverso? E chi può rispondere?

Di fatto un atterraggio morbido, nella storia, non si è mai visto. Certo le condizioni sono diverse. Ma a dire il vero, sembrano solo peggiori.Ma, come detto, chi può dirlo?

Powell ha consegnato al mercato un aumento dei tassi più contenuto dei precedenti (0.50% invece di 0.75%), sparando però a zero sulle prospettive future.

La Lagarde ha aumentato i tassi dello 0.50% dicendo che un terzo dei membri di BCE avrebbero voluto uno 0.75% e sparando anche lei a zero sul futuro. 

L’effetto Lagarde poi, ormai, sui mercati, lo conosciamo tutti, e così è stato, anche questa volta. Il linguaggio usato è stato il peggio del peggio, a dimostrare che si tratta della persona sbagliata, al posto sbagliato, nell’epoca più sbagliata possibile.

Sono in molti a parlare di S&P500 a 3200. Non so se arriverà, nel 2023, a 3200. 

Dico che vedremo il sole quando tutti e tre gli indici americani supereranno i massimi di agosto. La ha fatto solo il Dow Jones e ora è di nuovo giù, la divergenza si è corretta in senso ribassista. E tale è rimasta al momento la tendenza del mercato.

Aggiungo che una fase di lateralità ad ampio range corrisponde molto di più al clima attuale, che non le proiezioni di prossimo eccesso ribassista.

 

 

 

 

 

 
 

Maurizio Monti
Editore Traders’ Magazine Italia

P.S.: Così, siamo sulla media mobile a 50 dell’S&P500. Ci sarà reazione rialzista?

Non potrebbe essere il 23 dicembre un massimo anziché un minimo? Fra la media mobile a 50 e quella a 100 c’è lo spazio della discesa di venerdì. Bisogna supporre che il mercato recuperi l’area 3940, prima, e poi superi la resistenza della media mobile a 100 e tocchi di nuovo l’area 4000, esattamente corrispondente alla più bassa delle nostre linee che provengono dal minimo del 2009.

Ci può stare. Ma se dovesse accadere, sarebbe un modo per rivendere da quota 4000… condizione così ghiotta per la speculazione ribassista che viene quasi voglia di dire che potrebbe proprio essere così. Così, rialzo lunedì e martedì, e mercoledì giù con la fionda fino a 3770. Non è proprio Fantasyland, ma quasi.

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