Discusso e dissacrante “Parthenope” (Paolo Sorrentino): “A cosa stai pensando?” è l’unica domanda senza risposta, salvo alla fine del film.
Sorrentino ci parla del trascorrere del tempo, inesorabile e impietoso, come la sua visione della città partenopea. Messaggio del film a parte, magari non proprio o non del tutto condivisibile, la fotografia, la scenografia e la regia (pur sempre di un Premio Oscar) sono la potenza di “Parthenope”.
Inevitabile il successo del film, perché esce dall’area grigia del mediocre “carino”, infatti o lo ami o lo detesti, ma di certo non resti indifferente dopo averlo visto. Voto: 7,5
Introduzione
Parthenope è la protagonista dell’ultimo discusso film di Paolo Sorrentino e personifica Napoli, città che, stavolta, il premio Oscar attacca, condannandola senza pietà. È un microcosmo di storia europea quello che capeggia sulla regione campana, fra le più belle d’Italia, ma, per il regista de “La grande bellezza”, è, anche e soprattutto, un insieme di promesse non mantenute, illusioni disilluse, morti per suicidio per incolmabili vuoti d’amore e microdelinquenza, nonché di famiglie mafiose che s’ammazzano fra loro oppure, per non farlo, si alleano attraverso il “sacrificio” di due giovanissimi, vittime virginali dei loro stessi genitori; vergini appunto come il significato di Parthenope, “quella che sembra una vergine”.
Ripartiamo dal mito, quello di Ulisse che, insensibile al loro canto, causa il suicidio in massa di tre sirene: Ligea, Leucosia e, guarda un pò, Partenope; le donne-pesce cercano di ammaliarlo e poi, non riuscendoci, si lanciano in mare, per morire però.
Il corpo della terza giunge alla foce di un affluente del fiume Sebeto, che bagnava l’antica Neapolis, che fu fondata dai Cumani alla fine del secolo VIII a.C. con il nome di Parthenope. Del resto, quando si parla di cultura e società partenopee si allude a quelle napoletane. La protagonista del film è la milanesissima – perché non ricorrere a un’attrice napoletana tanto quanto il titolo? – Celeste Dalla Porta, affiancata da un cast nel quale spicca Stefania Sandrelli, che compare alla fine del film nelle vesti della protagonista arrivata all’età di settantatre anni.
Nella figura F1 la protagonista a 73 anni interpretata dalla celebre attrice italiana. Fonte/Credits: ph. Alessandra Basile
Trama
E’ il 1950 e dalle acque del mare di Posillipo sorge o, meglio, nasce una bellissima bambina chiamata Parthenope – come suggerito dall’armatore Achille Lauro detto il “Comandante”, poichè questa è la sua spiaggia privata – in onore alla magnifica città d’origine. Il fratellino maggiore, Raimondo, assiste al parto insieme a Sandrino, il figlio della governante.
Passano 20 anni e Parthenope conosce, frequentandone le lezioni, il professor Devoto Marotta, padre di un ragazzo problematico; li unirà lo studio dell’antropologia, della quale la ragazza chiede più volte al professore il vero significato, l’essenza. Quando Parthenope, Raimondo e Sandrino passano l’estate a Capri, lei incontra il noto scrittore John Cheever, con cui passa del tempo.
Accade un fatto tragico: quando Raimondo scopre quanto la sorella si sia avvicinata a Sandrino, si suicida in mare per il dolore, come la sirena; muore per un sentimento incestuoso. I genitori dei due ragazzi attribuiscono a Parthenope la totale colpevolezza, lasciandola da sola. Ed è ciò che lei stessa ammetterà da anziana.
Siamo nel 1974: Parthenope vuole fare l’attrice e interrompe gli studi universitari. Si rivolge alle stelle del passato Flora Malva, la sfigurata, e Greta Cool, che, incapace di accettare il passaggio del tempo, a una festa di Capodanno recita un durissimo monologo contro (la sua) Napoli e i napoletani.
Negli anni successivi, Parthenope si imbatte nel boss Roberto Criscuolo, con cui ha una storia, rimanendone incinta fino a che abortisce, e che la fa addentrare nella miseria dei sobborghi napoletani; con lui, assiste alla “fusione” fra due famiglie della Camorra, che costringono due giovanissimi, sangue del loro sangue, a un’unione fisica: vogliono un bebé per sancire il loro patto di non belligeranza.
Brutale è, poi, la conoscenza che Parthenope fa del misero cardinale Tesorone. Sconvolgente è, invece, l’incontro di Parthenope con il figlio di Marotta: un gigantesco neonato deformato, fatto di acqua e sale, che colpisce nel profondo e in positivo la protagonista. Nel 2023, Parthenope, alias Sandrelli, che vive a Trento da tantissimi anni, decide di tornare, da pensionata, nella sua Napoli. Lì, sola, senza un matrimonio né una famiglia, si accorge di quanta somiglianza ci sia fra sè e la città: bellezza e tristezza in un tutt’uno. Così sul finale, lei sorride.
Analisi del film
Tragici e vari i temi di “Parthenope”, ma quanto c’è di vero con riferimento alla splendida città?
Nella figura F2 la protagonista anch’essa dell’ultimo film di Sorrentino, Napoli. Fonte/Credits: Licenze creative commons, web searching https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/29/Parco_Virgiliano_a_Posillipo.jpg
Fra le tematiche, una su tutte: il passaggio del tempo, lo scorrere veloce della vita e della giovinezza. A contorno, abbiamo sentimenti e sensazioni come il desiderio, la seduzione, la sofferenza, la solitudine, la morte.
Inoltre, fra sacro e profano, i temi vanno dall’umiliazione pubblica all’aborto (illegale), dall’oltraggio alla lussuria fino all’incesto.
Relativamente ai temi vitali, Parthenope vorrebbe fare l’attrice, ma, quando realizza come ci si riduce a fine carriera, dopo l’incontro con due grandi stelle del passato sole e disperate, l’una devastata dalla chirurgia plastica e l’altra attaccata alla bellezza sfiorita come la parrucca che porta sulla testa ormai spelacchiata, cambia destino e si immerge nello studio dell’antropologia.
Il rude professor Devoto Marotta, un nome un programma, risponderà solo alla fine alla domanda insistente di Parthenope sul significato della materia antropologica e del suo studio, lo farà con queste parole: “è lo stare nell’incertezza, vederla ed accettarla”. A proposito di domande, una che costituisce il fil rouge del film ed è diretta, più volte da più persone, alla bella protagonista è: “Parthenope, a che stai pensando?”.
Nello sguardo della giovane la risposta, fino alle parole della Sandrelli, che la interpreta ormai anziana e saggia: “Sono stata come Napoli: giovane, frivola e triste, oggi sono viva e sola”. E questo è anche il macro tema del film che, forse, risulterà il più visto nell’Italia del 2024.
Tornando al tema, legato alla città e rappresentato dal personaggio principale, della bellezza, come dice Gary Oldman nei panni dello scrittore americano John Cheever, “è come la guerra: spalanca tutte le porte”. Dunque, provoca vittime. Le stesse donne belle, talvolta, non tollerano la fine della giovinezza, dunque di un certo tipo di beltà, finendo nelle mani di chirurgi spietati, come Flora Malva (Isabella Ferrari), o vivendo nell’infelicità di una vecchiaia in solitudine, come la star Greta Cool (Luisa Ranieri) una specie di grottesca Sofia Loren.
I momenti del film, che scorre veloce a dispetto delle sue 2 ore e un quarto, sono vari, ognuno con una sua sfumatura che conta, però, volendo arrivare a una conclusione, utilizziamo la frase finale, quella dei titoli di coda: “Dio non ama il mare”; la protagonista è nata in mare, ma l’amato fratello vi si è suicidato: forse il mare dà e toglie la vita o più genericamente accoglie tutti, insomma forse ha una forza ultraterrena e simboleggia Dio o il suo opposto? Chi lo sa.
A caratterizzare “Parthenope” concorre, dunque, un mondo di simbologie, riferimenti, spunti, immagini, tutto da esplorare con i personaggi del film; in particolare, nella seconda parte, la protagonista incontra un giovane boss mafioso e lo segue per i quartieri più poveri della bella Napoli, assistendo a scene, alcune molto dure: forse per Sorrentino questa è la Napoli svelata.
Di certo, Parthenope, come Napoli, fa innamorare di sè tutti, con il suo sguardo languido e le movenze feline; illude e delude, accende speranze che poi sono costrette a gettarsi a mare, annegando. Il messaggio del film è amaro, triste, drammatico, ma no, Napoli non è solo questo!
Recensione
Nella figura F3 il regista Paolo Sorrentino.
Fonte/Credits: Licenze creative commons, web searching
Non c’è dubbio: “Parthenope” costituisce uno spartiacque fra chi lo ama e chi lo detesta, genera confronti e spesso diventa il tema della serata, al punto che chi non l’ha visto si sente tagliato fuori dall’acceso dibattito improvvisamente partito. Anche in questo si intravede della genialità. Del resto, il film ha incassato a più non posso e continua a farlo.
Sacrosanta la regia (e non solo) di Paolo Sorrentino come la fotografia che sceglie. L’armonia del cast è tutto merito suo: i suoi attori si muovono con agilità, con l’effetto rallentato che piace tanto al maestro, nell’intreccio della storia; nulla resta al caso, nemmeno una virgola in una battuta del personaggio meno importante del film.
Chissà, tuttavia, quanta libertà interpretativa lascia agli attori quando lavorano con lui? Proprio il cast di “Parthenope” è perfetto, fra attori ormai affezionati – come la Ferrari e, da “E’ stata la mano di Dio”, la Ranieri, anche se quest’ultima non convince con la sua interpretazione, perché c’è qualcosa di macchiettistico più legato a una non totale capacità attoriale che a una voluta resa in tali termini – e attori così lanciati, vedi la Dalla Porta.
Un plauso, oltre che per essere stata brava, va alla Ferrari per la sua autoironia nell’interpretare una vittima di chirurgia estetica: la bocca, unica parte che mostra alla protagonista, è la sua e tanto naturale proprio non è… Celeste Dalla Porta è molto amata dalla telecamera di Sorrentino, che la ritrae, riprende, inquadra nei dettagli e in ogni movenza, fino un po’ alla nausea, anche perché l’espressione facciale, ahimè, resta la stessa quasi tutto il tempo.
Sarà voluto? Forse sì, ma si ricordi che è una modella. Sarebbe interessante vederla in un altro ruolo diretta da altri. In ogni caso, la leggerezza in superficie e l’amarezza di fondo arrivano al pubblico grazie al fino lavoro del regista con la sua (chissà) musa.
Straordinario Silvio Orlando nel significativo, seppur minore, ruolo del professore di antropologia.
Una critica alla nudità che tanto piace a Sorrentino: non è quasi mai necessaria nei suoi film.
Un grande pregio di “Parthenope”: il film non stanca mai, nonostante alcune lunghe inquadrature, soprattutto quelle che indugiano ripetutamente sul volto e sul busto quasi desnudo di Parthenope; trascina lo spettatore, che non sa mai cosa aspettarsi, in una sorta di inquietudine, di sospensione.
Il voto al film “Parthenope” è una via di mezzo fra quello contenuto ai dialoghi (alcuni strepitosi), quello discutibile al messaggio finale, quello discreto alla trama, quello elevato a regia, fotografia, scenografia, capaci di portare il pubblico in una dimensione senza eguali; voto complessivo: 7,5.
Nella figura F4 un’altra immagine della protagonista.
Fonte/Credits: Alessandra Basile
Conclusione
Parthenope di Sangro, è così che si chiama la protagonista. Suo fratello era Raimondo di Sangro. Ebbene, il principe Raimondo di Sangro di Sansevero è realmente esistito: fu il famoso alchimista che, nel 1753, incaricò il giovane scultore napoletano Giuseppe Sanmartino di realizzare, proprio nella Cappella Sansevero, una statua in marmo a grandezza naturale; la statua, nel cuore di Napoli, doveva essere Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente.
Esso fu realizzato con una tale maestria anche per una tecnica segreta, pare, ideata dal suo committente: la “velatura di Sangro”. Oltre al masterpiece del “Cristo velato”, i “cavalli alati”, simboleggianti scienza e alchimia, le passioni del principe, ed altre opere degne di interesse addobbano la citata cappella. Il nobilissimo scienziato, che studiava i misteri della natura e, soprattutto, l’uomo, fece svariate scoperte e, sperimentando nel suo laboratorio, fu artefice di diverse invenzioni.
Gli venne attribuito, nel 1740, il titolo di cavaliere dell’Ordine di San Gennaro; questo ci riporta al film, perché, in una scena, viene mostrato e deriso lo scioglimento del sangue del santo. Fra storia e leggenda, Raimondo di Sangro è tuttora ritenuto un personaggio fondamentale della cultura e dell’arte napoletane; così, non stupisce che Sorrentino abbia dato alla sua protagonista il nome di Parthenope di Sangro, con un elogio, almeno qui, sia al genio creativo, seppur pazzerello, di un alto rappresentante della città partenopea sia al valore nei secoli dell’ineguagliabile Napuli.
Nella figura F5 l’opera d’arte commissionata dal principe alchimista. Fonte/Credits: Licenze creative commons, web searching https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/38/Cristo_Velato_Volto.jpg
Alessandra Basile
Attrice e Autrice. Ha collaborato con la Comunicazione Corporate di un’azienda. Ha una formazione in Life coaching (per un periodo ICF) e una laurea in Giurisprudenza. Presiede la Associazione Effort Abvp con la quale ha interpretato e prodotto diversi spettacoli teatrali a tematica sociale, fra i quali una pièce contro la violenza domestica, ‘Dolores’, della cui versione italiana è co-autrice Siae. Ha scritto ‘Films on The Road’, un libro sul cinema girato in Italia, edito Geo4Map. Scrive di film e spettacoli teatrali con l’occhio dell’Attrice, il suo primo mestiere, e intervista persone e personaggi, soprattutto del mondo dello spettacolo.
Email: Alessandra.Basile@outlook.com Sito web: www.alessandrabasileattrice.com