A partire da questa ultima edizione, la diciassettesima, la Festa del Cinema di Roma è tornata a essere ufficialmente un Festival Competitivo. Le date della kermesse cinematografica, etichettata come Festival Competitivo dalla FIAPF (Fédération Internationale des Associations de Producteurs de Films), sono andate dal 13 al 23 ottobre 2022, all’insegna dell’attore più bello di sempre e della moglie che lui amò e rispettò per tutto il tempo in cui stettero assieme: Paul Newman e Joanne Woodward. I loro volti hanno riempito il manifesto della Festa del Cinema 2022 con una foto-ritratto che fu scattata nella casa, nel Greenwich Village (New York), dove la celebre coppia viveva.
I Premi
Prima di accedere alle recensioni, ecco quali sono stati i premi consegnati e le relative categorie:
Concorso Progressive Cinema: Miglior Film Janvāris(January) di Viesturs Kairišs; Gran Premio della Giuria Jeong-Sundi Jeong Ji-hye; Miglior regia Viesturs Kairišs per Janvāris; Miglior attrice – Premio “Monica Vitti” Kim Kum-Soon per Jeong-sun; Miglior attore – Premio “Vittorio Gassman” Kārlis Arnolds Avots per Janvāris; Miglior sceneggiatura Andrea Bagney per Ramona; Premio speciale della Giuria (fra le categorie sceneggiatura, fotografia, montaggio e colonna sonora originale)Foudredi Carmen Jaquier per la fotografia di Marine Atlan; è stata assegnata la Menzione Speciale della Giuria all’attrice Lilith Grasmug per la sua performance in Foudre.
Migliore Commedia – Premio “Ugo Tognazzi” (fra i titoli delle sezioni Concorso Progressive Cinema, Freestyle e Grand Public) a What’s love got to do with it? di Shekhar Kapur; è stata assegnata la Menzione Speciale Miglior Commedia – Premio “Ugo Tognazzi” a Ramona di Andrea Bagney.
Migliore Opera Prima BNL BNP PARIBAS (fra i titoli delle sezioni Concorso Progressive Cinema, Freestyle e Grand Public) a Causeway di Lila Neugebauer; sono state assegnate 2 Menzioni Speciali Miglior Opera Prima BNL BNP Paribas a Ramona di Andrea Bagney e Foudre di Carmen Jaquier.
Premio del Pubblico FS: tra i film del Concorso Progressive Cinema, gli spettatori hanno assegnato il Premio del Pubblico FS a Shttl di Ady Walter.
Le recensioni e una conferenza stampa
Iniziamo, in questa prima parte, con alcuni dei film italiani in visione ai partecipanti della Festa.
Il colibrì di Francesca Archibugi con Pierfrancesco Favino
F1) Un momento de “Il colibrì” di Francesca Archibugi
Nella figura F1 Pierfrancesco Favino (protagonista) e Nanni Moretti in una scena del film.
Fonte: https://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2022/10/13/Favino-Moretti-690×362.jpg
Francesca Archibugi apre la Festa del Cinema di Roma con il film drammatico ispirato all’omonimo romanzo di successo Il colibrì di Sandro Veronesi. Interprete principale Pierfrancesco Favino, che è proprio nel ‘suo’ e ci regala un personaggio sulla difensiva e simile, per la costante attitudine al rinvio, al suo Alexander di Promises, regia Amanda Sthers. Il tema de Il colibrì? Forse che, anche di fronte a insopportabili tragedie, la vita non si ferma, va avanti con forza. Il film che dà inizio alla diciassettesima edizione della nota kermesse romana non è tutto italiano, ahimè. La produzione è, anche, francese. Per fortuna che gli attori principali, dato che la storia è quella scritta da un nostrano, sono italiani e la regista, come già detto, anche. Il cast, che la Archibugi dirige e del quale i singoli elementi sono apprezzabili, funziona armonicamente, salvo per un’interprete: la moglie del produttore italiano, per di più rifatta forse poco prima delle riprese.
A livello artistico e tecnico, purtroppo, non c’è confronto con Favino &Co e lei, la Smutniak, appare meno brava di quanto non sia in realtà. È come se i suoi momenti fossero indipendenti dai colleghi sul set con lei e dalla storia narrata: ciò fa sì che si guardi più all’attrice che al personaggio, il cui nome è Marina. Quanto a quest’ultima, nella fase in cui risulta invecchiata per esigenze di copione, si notano la fronte liscia e le labbra gonfie dell’attrice che ne veste i panni, con il risultato deprimente di un aspetto lontanissimo dal reale viso agé. Kasia ci prova duramente, forse il suo limite è nell’essere inserita in un cast di caratura professionale superiore: accadeva già in Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, nel quale il gruppo di attori era allineato per capacità e grazie, senza dubbio, all’ottima regia e al lavoro, forse più da compagnia teatrale, fatto tutti assieme sul testo prima di girare.
Va detto, tuttavia, che l’opera di invecchiamento appare ‘esagerata’, con solchi assurdi nelle guance e pieghe della pelle che, difficilmente, si trovano in natura e, forse, rovinano il lavoro della Archibugi e la favolosa resa di Favino. Il momento del suo personaggio, quando è alla guida e piange, anzi mugugna, con un lamento quasi animalesco, dopo aver appreso una notizia terrificante, è incredibile per quanto potente, reale e profondo. Se come insegnante di recitazione, Favino è poco premiabile, specie per i modi e l’insensibilità che ha saputo dimostrare e agire in 3 giorni di workshop milanese, senza riuscire granché nell’intento di essere chiaro nel suo insegnamento, tuttavia è e resta un attore di straordinaria levatura e l’orgoglio nazionale che, oggi, abbiamo fra gli interpreti cinematografici, qui e nel mondo.
Al centro del romanzo e del film, perfettamente ritagliato sul primo, stanno le vicende, per lo più drammatiche, di una famiglia. Il colibrì è un film ben fatto con un difetto, oltre a essere un pò lungo: è un continuo pugno allo stomaco. La vita è fatta, anche, di momenti gioiosi e risate, non solo di tragedie. Da vedere, sapendolo. Voto: 7,5.
La cura di Francesco Patierno con Alessandro Preziosi
F2) Un momento del film “La cura” di Francesco Patierno
Nella figura F2, da sinistra Alessandro Preziosi e il protagonista Francesco Di Leva.
Fonte: https://www.taxidrivers.it/wp-content/uploads/2022/09/la-cura3-scaled.jpg
Francesco Patierno dirige La cura, uno dei film ufficiali della Festa del cinema di quest’anno, e affronta così un tema al mondo poco noto(!): il Covid. Non ancora dimenticato né abbandonato, visto che qualche decesso per il Coronavirus continua a esserci, il regista napoletano ne parla nel suo film, trattando di malattia e lockdown e tornando proprio al primissimo periodo, quello degli iniziali divieti a muoversi da una regione all’altra e di quando sembrava assurdo che si stesse davvero verificando una pandemia. L’errore di La cura è stato temporale: di Covid nessuno ha più voglia di parlare o sentire parlare; la corsa ad aeroporti e stazioni, ovunque, dimostra che la gente ha la ‘fregola’ di viaggiare per non averlo fatto per due anni consecutivi, inoltre l’assenza di mascherine e il non rispetto di un minimo di regole anti-virus fa pensare all’insofferenza dell’uomo medio rispetto al tema che ci ha ossessionati fra il 2020 e oggi; fare un film esclusivamente su quel periodo, inserendoci la morte di una bambina, è incomprensibile, mentre sarebbe stato, forse, interessante vederlo fra qualche anno, per non dimenticare. Siamo in un momento di reazione, anche solo, al nome del virus e a tutte le sue varianti; proporre un film che non racconta altro è stata una scelta rischiosa che ha penalizzato il successo dell’opera e il lavoro di regista e cast.
A proposito di quest’ultimo, spicca, bello e bravo, Alessandro Preziosi, che è molto convincente in un monologo che lo mette in luce. Anche Francesco Di Leva (protagonista) e Francesco Mandelli sono molto credibili nei loro ruoli. Ciò detto, La cura ha una durata giusta, sotto i 90 minuti, attori di livello ottimo e, ispirandosi a La peste di Albert Camus, mostra una Napoli deserta affascinante, con vedute dall’alto della città e riprese fra i vicoli vuoti per il lockdown forzato. Fra i personaggi del film, interessante è Padre Paneloux, l’ecclesiastico che predica e accusa “Fratelli, la sventura vi ha colpiti. Fratelli ve lo siete meritati”, salvando solo i bambini, perché innocenti rispetto alla malattia, al virus, alla possibilità (remota) di ammalarsi, insomma non colpevoli. Voto: 6,5.
L’ombra di Caravaggio di Michele Placido con Riccardo Scamarcio
F3) Un momento del film “L’ombra di Caravaggio”di Michele Placido
Nella figura F3, una scena con Riccardo Scamarcio (Il Caravaggio) e Isabelle Huppert (Costanza Colonna).
Fonte: http://www.arte.it/foto/600×450/23/133801-foto-l-ombra-di-caravaggio-7-high.jpg
Riccardo Scamarcio, diretto da Michele Placido, che nel film è il Cardinal Del Monte, interpreta il lombardo Michelangelo Merisi o, come lo ricordiamo meglio, il Caravaggio. Il film tratta delle indagini che la Santa Sede fece fare sulla vita dissoluta e reprensibile del grande pittore e sulle opere, seppure di un innegabile genio artistico, ritenute offensive per i soggetti sacri ritratti, che il maestro dipingeva usando come modelli la povera gente, i miserabili. Siamo nell’ultima parte della vita di Michelangelo e l’inquisitore mandato dalla Chiesa ha le sembianze di un rigidissimo Louis Garrel, che fallisce, stranamente, l’interpretazione, forse per via di un italiano stentato come accento; avrebbe fatto meglio ad accettare il doppiaggio della sua voce o a lasciare il suo posto ad attori madrelingua italiani ben più adatti al ruolo, ma, così intuiamo, la produzione italo-francese ha preso il sopravvento, agendo con logiche commerciali. Tornando ai soggetti dei quadri del Caravaggio, ciò che gli venne criticato pesantemente fu l’oscenità del nudo e della posizione dei corpi, ma, in particolare, il riconoscimento nei visi, specie delle figure religiose, dei c.d. ultimi, al confine della società, ossia delle prostitute, dei briganti, insomma dei poveracci.
Per il pittore, non si trattava di offendere Dio o la Chiesa, ma, al contrario, riteneva l’essere vicini agli ultimi il vero credo, la religione, e lo faceva, non solo dipingendoli, per esempio, come Santa Caterina o la Vergine Madre Maria (della quale la modella era stata Lena Antognetti, appartenente a una famiglia di cortigiane), ma utilizzando la luce in modo originale e anticipatorio, nel nome di un chiaro-scuro con cui Placido cerca di ‘illuminare’ il film. Merisi era noto per il suo caratteraccio: tendeva a far di testa sua e rompeva rapporti con persone e personalità, a suo stesso danno, ma il suo fascino l’aveva, anche, avvicinato ad alcuni potenti che andavano sotto i nomi solenni di Colonna e Borghese. Isabelle Huppert, sempre bravissima, veste i panni di Costanza Sforza Colonna, mentre l’attore Gianluca Gobbi presta volto e corpo all’altro sostenitore del Caravaggio, nipote dell’allora Papa, Scipione Borghese. L’indagine condotta su Michelangelo parte dall’omicidio di un suo amico e rivale, Ranuccio, rivendicato dal fratello, che accusa il pittore di averlo ammazzato, dimentico del fatto che, stando al Caravaggio, quest’ultimo si sarebbe trovato in un’imboscata organizzata proprio dal defunto, ucciso, quindi, per legittima difesa.
Il film non è perfetto, sia, per esempio, per l’uso di un linguaggio colloquiale inesistente al tempo, sia, altro esempio, per l’accento, sempre e comunque, toscano di Micaela Ramazzotti, quando interpreta sia un ruolo moderno per Muccino o suo marito sia un personaggio della Milano del XVI secolo. Scamarcio è perfetto come physique du role, per una certa popolanità e per la rinomata antipatia del carattere, ma il ruolo di Michelangelo Merisi avrebbe richiesto di più come stratificazione del personaggio e profondità del suo sentito. Un Alessio Boni, forse, avrebbe fatto di meglio. Il film, tuttavia, ci racconta e ricorda di un genio eterno del chiaro/scuro, perciò è da vedere. Voto: 7.
Conferenza stampa (estratto)
Estratto video: https://www.youtube.com/watch?v=fsXWnzgUju8
Presenti sul palco: da destra, Paolo Del Brocco (Rai Cinema) e Federica Luna Vincenti (Goldenart Production), produttori del film;
a seguire, Lolita Chammah, Micaela Ramazzotti, Louis Garrel, Michele Placido (anche regista), Isabelle Huppert, Riccardo Scamarcio, gli interpreti del film;
Presenti in prima fila in platea: Vinicio Marchioni, il rapper Tedua, Lea Gavino e Michelangelo Placido, oltre ai due sceneggiatori.
F4) Un momento della conferenza stampa del film di Placido “L’ombra di Caravaggio”
Nella figura F4, Michele Placido con, da sinistra a destra, Isabelle Hupper e Louis Garrel.
Fonte: ph. Alessandra Basile
Placido: Quando i francesi hanno visto il montaggio definitivo ci hanno dato una partecipazione emotiva, ci hanno creduto dal primo momento. Caravaggio non fu amato dall’accademia “questo signore è venuto dalla Lombardia per distruggere la pittura” dicevano inizialmente di lui. Alla chiesa romana abbiamo mandato il copione ma ce l’hanno rimandato indietro, la Curia. Servivano i permessi per entrare nelle chiese. Siamo andati a Napoli. Michelangelo come avrete notato nel film faceva delle vere e proprie prove teatrali, aveva i suoi attori (li posizionava per i quadri).
Scamarcio: Michelangelo si era macchiato di un delitto, dunque c’era ben poco da imitare e molto da immaginare. In comune abbiamo, Michelangelo Merisi e io, di essere due provinciali arrivati a Roma mossi da una passione autentica, per me il cinema e la recitazione e per lui la pittura. La vera ispirazione me l’ha data Michele quando me ne ha parlato, aveva un’urgenza negli occhi e lui me l’ha trasferita. Il mio riferimento era, nella mia testa, Elvis Presley, un ragazzo di provincia con un grande talento e un grande rigore nei confronti di questa arte, che allora era il, mainstream del core business: i quadri erano potentissimi, perché parlavano all’inconscio delle persone.
Vincenti: Grazie, mi fa molto piacere che siano stati notati i costumi di Carlo Poggioli, confezionati con una squadra di oltre 20 sarte impiegate per mesi e mesi. Invece del noleggio, una tecnica antica
Huppert: Costanza provò un amore prima materno poi estetico per lui e ne riconobbe la supremazia estetica ma anche la portata politica delle sue opere d’arte. Inoltre, si identificò con la ribellione e la trasgressione di Caravaggio. Costanza era un personaggio che si poneva la domanda su cosa fosse legittimo e giusto veramente.
Garrel: Provo a parlare italiano, se sono confuso è così. Il mio personaggio, l’ombra, è un prete integralista. Caravaggio era un artista dell’avanguardia, questo mi ha molto interessato. Era un mito e c’era un contrasto fra la bellezza dei suoi quadri e la leggenda sulla sua vita, specie dopo l’accusa di avere ucciso qualcuno. In fondo siamo tutti più o meno reazionari come l’Ombra.
Ramazzotti: Il personaggio di Lena lui lo incontra con il bambino e immagina la messa in scena e in quel momento la prostituta con il figlio diventa la madonna con il bambino. Unione fra sacro e profano. Lui non sapeva che queste donne, queste persone, sarebbero rimaste sulla tela per secoli.
Chammah: Il mio personaggio è Anna Bianchini che lui chiamava Annuccia. Era una donna di strada anche lei. Caravaggio si innamorò di lei che attraverso lo sguardo del pittore appare come una santa, aspetto mistico della sua pittura. Anche queste donne corrispondono alla rivoluzione estetica del Caravaggio.
F5) Un momento della conferenza stampa del film di Placido “L’ombra di Caravaggio”
Nella figura F5, Riccardo Scamarcio.
Fonte: ph. Alessandra Basile
Nelle prossime uscite de Il Settimanale di TRADERS’ Magazine troverete gli articoli successivi sulla diciassettesima Festa del Cinema di Roma, 2022.
Alessandra Basile
Attrice e Autrice. Ha collaborato con la Comunicazione Corporate di un’azienda. Ha una formazione in Life coaching (per un periodo ICF) e una laurea in Giurisprudenza. Presiede la Associazione Effort Abvp con la quale ha interpretato e prodotto diversi spettacoli teatrali a tematica sociale, fra i quali una pièce contro la violenza domestica, ‘Dolores’, della cui versione italiana è co-autrice Siae. Ha scritto ‘Films on The Road’, un libro sul cinema girato in Italia, edito Geo4Map. Scrive di film e spettacoli teatrali con l’occhio dell’Attrice, il suo primo mestiere, e intervista persone e personaggi, soprattutto del mondo dello spettacolo. Email: Alessandra.Basile@outlook.com Sito web: www.alessandrabasileattrice.com