spot_img
spot_imgspot_imgspot_imgspot_img

ROMA RFF 16, ottobre 2021 (6° ed ultima parte)

Ultima ora

Scelti per te

Nel pre-post-Covid, Roma brilla del cinema, suo e internazionale

Proseguono dal numero scorso (https://www.traders-mag.it/roma-rff-16-ottobre-2021-quarta-parte-2/ ) le conferenze stampa e gli incontri ravvicinati della RFF16.

Le CONFERENZE STAMPA e gli INCONTRI RAVVICINATI: alcuni estratti.

Conferenza stampa – Johnny Depp e Andrea Iervolino con Monika Bacardi, PUFFINS

Ottobre 2021 (continua dal numero precedente)

Intervistatore: Johnny è incredibile quanto hai presa sul pubblico più giovane da Edward Mani di Forbice a Alice nel paese delle meraviglie a Il Pirata dei Caribe fino a Puffins. Quale credi sia il segreto di questa tua relazione speciale soprattutto con il pubblico più giovane?

Depp: Buffo. Nel mio lavoro, o nel mio defunto lavoro, come attore ho avuto l’opportunità di accettare diverse sfide nel creare e allocare i personaggi che mi venivano dati e non sempre le mie scelte sono state accolte subito con grande gioia, in seguito sì. Se penso a me bambino, a circa 5-7 anni, ricordo che alla Domenica pomeriggio c’era questa trasmissione televisiva, mi pare di marionette, su un canale che mostrava i film muti e fu così che potei guardare e apprezzare Buster Keaton e Charlie Chaplin e altri geni dotati di una tale maestria che mi fecero capire come in quei film la sfida e la difficoltà fossero la mancanza di linguaggio, perché, se è facile dire parole come ti amo, è assai più difficile esprimerlo solo con gli occhi, l’unico posto che rivela ciò che ti arriva da dentro. Nel caso del Capitano Sparrow[1], fu una sfida per me: volevo creare un personaggio che superasse i confini dettati dal cinema. In breve, i cartoni come Willy il coyote li possono guardare, seduti su in divano davanti alla tv, persone di 5, 35, 75, 90 anni, perché piacciono a tutti. Se è un cartone, accettiamo che il personaggio vada oltre i limiti: ad esempio, il protagonista viene colpito da un masso e ha solo un bernoccolo; io ho provato a far lo stesso con i Puffins. La mia ricerca è consistita, quindi, in come lui (Johnny Puff) avrebbe reagito alle cose vocalmente senza un linguaggio comprensibile, così da far sì che il pubblico guardi e pensi. Per me è un magnifico pezzo d’arte.

Assistiamo a una simpatica scenetta improvvisata fra l’ex divo di Hollywood e la sua traduttrice cui inginocchiandosi chiede di sposarlo per la pazienza nell’arte di tradurre le sue lunghe risposte.

Intervistatore: Domani scriverete di Johnny Depp e Bruna Cammarano (traduttrice nella foto) che si sposano (il pubblico ride, ndr). Andrea, qual è il business plan di ILBE[2]?

Iervolino: Prima di rispondere, tengo a raccontare una cosa bellissima di Johnny. I Puffins danno dei messaggi finalizzati a far sentire i bimbi tutto meno che disadattati: stanno molto sui social media dove tutto e tutti sembrano perfetti. Un giorno Johnny mi ha raccontato al telefono che sua figlia, quando aveva 5 anni, non si sentiva bella, perché non somigliante alla Barbie. Con la moglie, l’ha, quindi, portata in giro, chiedendole ‘vedi delle Barbie intorno a te?’. Lei ha risposto ‘nessuna’. Un papà con un tale livello di attenzione per la figlia fa capire il suo impegno con Puffins. Grazie!

Intervistatore: Spazio alle domande in sala. Nessuna che esuli dalla sfera cinematografica.

Giornalista in sala: Johnny, visto che ha detto sono un ex attore, a che punto è arrivata la sua carriera?

Depp: Il punto sulla mia carriera non è lo stesso di sempre, oggi. Ma per me ha rappresentato una strada molto interessante e senz’altro continuo a fare ciò che amo. A proposito, spero che faremo altri film insieme Andrea, Monika e io. Sono molto grato di trovarmi lontano dal macchinario di Hollywood che spits out lost and found jokes or is based on not interesting formulas[3]. Io ora voglio aiutare le persone a fare i film, anche con un mezzo semplice, ossia non ha a che fare con la fama e i grandi attori, ma, per esempio, con una ragazzina di 15 anni che con il suo cellulare voglia davvero esprimere qualcosa. Questo, per me, non è possibile a Hollywood, dove mancano capacità e conoscenza: Hollywood è un luogo di vacanza. Mi hanno guardato per anni dall’alto in basso, pensando di riuscire a rovesciare tutto e non ci sono riusciti. Quanto al cinema, mi piacerebbe altro. Ma, piuttosto che tornare a Hollywood, me ne sto seduto in qualche Starbucks a sudare.

Giornalista in sala: Mi rivolgo ai produttori. 160 Animatori italiani, ma basati dove? In che senso sul formato corto non avete concorrenti?

Iervolino: I 160 animatori italiani sono basati a Roma, di essi 46 sono sceneggiatori e 108 storyboard artist, come il 5 volte candidato ai premi David di Donatello Giuseppe Squillace, e per il 42.6% si tratta di donne. Noi abbiamo realizzato anche la serie Artic Friends. Fra le due serie: 380 episodi divisi in 35 stagioni, con 1750 pagine scritte e 1900 minuti d’animazione 3d SGI. Abbiamo realizzato una Pipeline (cioè da come si produce l’opera a quando si consegna il prodotto) al 100% originale, creata per noi. Le serie sono disponibili in tutto il mondo su Apple e su Amazon.

Giornalista in sala: Johnny, nella sua lunga carriera, qual è stato il più grande successo per lei?

Depp: Ciò di cui sono orgoglioso più di qualsiasi altra cosa sono i miei figli. Quanto al lavoro, suppongo di appartenere a quella strana scuola secondo cui l’attore non è mai pienamente soddisfatto di quel che fa, anche perché, secondo me, sarebbe sennò come la morte: ti adagi, non hai voglia di spingere te o i tuoi personaggi oltre, ti siedi, invece di portare qualcosa di diverso.

Intervistatore: alcuni attori fanno cinema e altri attori sono il cinema. Grazie Johnny Depp!

 

F1) Johnny Depp con Bruna Cammarano


Nell’immagine F1, il grande attore americano con la traduttrice italiana al RFF 16.
Fonte: per gentile concessione di Alessandra Basile

***

Conferenza stampa – Pierfrancesco Favino e la regista Amanda Sthers, PROMISES

Ottobre 2021 (estratto)
Segue la visione di ‘Promises’ la conferenza Stampa con Favino e la regista e sceneggiatrice Sthers.

Intervistatrice: Pierfrancesco, è un personaggio inedito per te. Che viaggio emotivo è stato?

Favino: Bello. Poi io sarei un romantico, un idealista e un leale… anche se non ho la faccia (ride, ndr). Sono rimasto colpito dalla sceneggiatura per la capacità di Amanda di guardare alle fragilità degli uomini senza giudicarle e senza uno sguardo materno; ci leggevo una grande comprensione rispetto ai tanti errori che un uomo può commettere. E poi è una bellissima storia d’amore.

Giornalista in sala: Favino, in che cosa ti riconosci in Alexander? Questo suo rimandare continuo fa parte della tua natura o, insomma, sei più diretto quando trovi una donna che ti piace?

Favino: Vuoi sapè se ce provo? Forse non procastino quanto lui, ma il tempo giusto per un incontro, non solo amoroso, determina molto del nostro vissuto. Ci sono occasioni in cui il tempo è sempre sbagliato, mentre in altre, assai più rare, il tempo è esattamente quello del tuo desiderio e questo credo sia uno dei temi, o dei livelli, del film. Qui mi ci rivedo. Mi sono capitate tante cose nel momento giusto e altre in quello sbagliato, ma non ho la tendenza a guardarmi indietro per dei rimorsi, semmai mi chiedo ‘chissà se avessi preso quell’altra strada cosa sarebbe successo?’. Però non ho l’età di Alexander quando scopre che certe porte si sono chiuse definitivamente.

Giornalista in sala: Tu sai perfettamente recitare in inglese. Potrebbe finalmente arrivare una corsa verso un prestigioso riconoscimento come l’Oscar. Cosa ti ha lasciato questo personaggio?

Favino: Non posso fare gesti (ndr, il pubblico ride), ma non credo che accadrà. Non credo neanche che quello sia per forza il punto d’arrivo di una persona. E Favino che parla inglese non è una scelta virtuosistica per far vedere che lo parla, perché non sia mai che domani qualcuno lo chiama. Io sto bene qua. Il personaggio nasce in Italia e non vuole più avere a che fare con una cosa dolorosa della sua vita rappresentata dall’Italia e così, avendo una madre inglese, abbraccia quel mondo. Ecco il perché dell’inglese. Mi è stata data l’opportunità di un personaggio credibile. E, poi, in lui c’è un cortocircuito dato da una passionalità latina ma anche dal tenere le distanze (all’inglese). Alexander mi ha lasciato il piacere di avere avuto a che fare con la sua complessità sfaccettata e quello di aver lavorato con una donna intelligente e sensibile come Amanda Sthers. La libertà espressiva dell’attore può essere condotta da questa bella sceneggiatura. Si fan sempre delle riflessioni quando si affronta un personaggio o una storia. Sono riflessioni malinconicamente dolci sulla vita. Sono felice di avere fatto un’esperienza nuova e un viaggio con attori meravigliosi.

Giornalista in sala: Amanda, nel film viene menzionato l’Ulisse di James Joyce. Se e quanto ha influito sulla narrazione?

Sthers: Ho iniziato stamattina a rispondere alle domande sul film e ognuno si ricordava un libro diverso, perché compaiono anche due di Calvino. Ma io la mia Bibbia non l’ho ancora trovata.

Giornalista in sala: Per i produttori. Fanny Ardant ha detto che le storie d’amore sono le più difficili, ma le più affascinanti, da raccontare.

Conversi, Orfei: Vedendo questo film ognuno trarrà conclusioni e riflessioni differenti. La Ardant ha una visione molto romantica dell’amore, forse meno maschile. Ma questa storia mischia amore, famiglia, amicizia e non sono la stessa cosa, no? La cosa che ci ha subito incuriositi è stata la non linearità del percorso produttivo e distributivo. A noi interessa sperimentare e innovare. È stata un’esperienza produttivamente nuova e una sfida enorme: una storia d’amore – non facile a livello distributivo – con un grande cast internazionale, un romanzo importante, con temi alti e profondi.

Intervistatrice: Amanda, perché hai pensato che Favino fosse l’Alexander giusto?

Sthers: Avrei sempre voluto lavorare con Pierfrancesco. Lo vedevo nei film italiani e non sapevo parlasse inglese tanto bene. Poi ho visto una sua intervista in inglese, senza accento (italiano), e, mentre cercavo attori inglesi, ho pensato anche che lui incorporasse sia una forte mascolinità sia con i suoi occhi la dolcezza, il cuore di un uomo, in un contrasto fascinoso. Non potrei immaginare nessun altro nel ruolo di Alexander. È stato bellissimo lavorare con lui, ma anche faticoso perché mi spingeva fuori dalla mia confort zone con tutte le domande che mi faceva su qualsiasi mia scelta, mi sfidava a essere fortemente accurata nelle mie decisioni. Quando arrivava sul set era così preparato e capace di sorprendermi. ‘The natural comes after hard work’[4]. Avevo il meglio del good work in una sola persona. Lui è un vostro tesoro nazionale, perciò abbiatene cura. Take care.

Trailer in v.o.: https://www.youtube.com/watch?v=Mo9biUvh-ps
Trailer in italiano: https://www.youtube.com/watch?v=C_kQyl4w_DM

F2) Pierfrancesco Favino alla Festa del Cinema di Roma alla Conferenza Stampa su ‘Promises’


Nell’immagine F2, il protagonista del film diretto da Amanda Sthers Pierfrancesco Favino.
Fonte: per gentile concessione di Alessandra Basile

***

Incontro ravvicinato – Marco Bellocchio

Ottobre 2021

Intervistatore: Pensando a te, Marco, mi viene un termine alla mente: melodramma.

Bellocchio: Direi che, con il passare del tempo, ho preso sul serio l’opera lirica, riconoscendone proprio una radice di formazione per me molto profonda.

Intervistatore: Tu ti sei avvicinato all’opera lirica anche da spettatore? Se non ricordo male, Piacenza e Parma si contendono Verdi.

Bellocchio: Parma si prende sempre tutto. I teatri sono uguali, ma Piacenza[5] arriva sempre dopo (il pubblico ride, ndr). Parma è stata casuale (come location). Quando si pensa a un film, qualche volta si ha la fortuna di sapere già chi lo interpreterà, ma spesso si scrive una storia e sorge il problema di individuare l’attore. Nel caso del film I pugni in tasca, lasciando perdere l’aneddoto di Gianni Morandi[6], io mi trovavo alla sala mensa del Centro Sperimentale, credo, con Enzo Doria, che era il produttore del film ed ex allievo della scuola, e vidi un giovane anche lui lì per mangiare dal volto un po’ bergmaniano. Seppi che frequentava i corsi di regia come esterno al Centro. Gli facemmo un provino e pensammo che fosse lui. Ecco, non era per niente Bobbiese e nemmeno italiano, ma il suo viso, il suo modo di muoversi e la sua creatività diedero un ottimo apporto al film. Era Lou Castel. Molto spesso si trovano gli attori all’ultimo momento. Per esempio, all’ultimo momento, Philippe Noiret non potè partecipare a Salto nel vuoto (1980). Non so come, venne fuori il nome di Michel Piccoli e fu scelto 2/3 settimane prima di girare: fu una scelta eccezionale.

Intervistatore: Della tua formazione cosa mi puoi dire? Nel ‘59, eri venuto a Roma per gli studi.

Bellocchio: Io venni a Roma per frequentare il Centro Sperimentale, prima come attore, poi come regista. A quei tempi, c’era un cinema d’autore su cui mi sono formato e c’erano due tendenze: la Nouvelle Vague, in particolare, alcuni autori, fra cui Godard, e il cinema italiano, che a me ha dato la formazione, non solo quello di Fellini e Antonioni, ma, ad esempio, di Visconti. Senso è un film del 1954 che conosco benissimo; rappresentava un cinema realistico. Anche l’opera e il teatro sono stati un’altra sorgente per me di grande formazione. C’era il mondo democristiano, caratterizzato dalle sinistre all’opposizione e dai registi che andavano in autobus e da una satira e una commedia che erano di opposizione. Certo, quando i pesi politici sono cambiati, è cambiato anche il cinema italiano. Un altro film che ricordo bene è Hiroshima mon amour del 1959, estremamente innovativo ai tempi, con una storia che mi aveva coinvolto molto.

Intervistatore: So che avevi trascorso anche un periodo a Londra. Anche gli autori inglesi di quel periodo, il Free cinema, so essere stati importanti per te: Carol Wise, Tony Richardson, ..

Bellocchio: Il cinema inglese aveva un suo registro di potente realismo senza essere realista. Forse anche oggi. Penso a un film che mi colpì molto: The Loneliness of the Long Distance Runner.

Intervistatore: In italiano, fu assurdamente intitolato Gioventù, amore e rabbia.

Bellocchio: Non lo ricordavo. A Londra andai per due anni dopo essermi diplomato al Centro Sperimentale. Oggi si laureano lì. Imparai l’inglese molto bene, poi lo disimparai. E lì ho conosciuto il nuovo cinema inglese. Anche il cinema tedesco era caratterizzato da capolavori, autori geniali.

Intervistatore: Marco, tu andasti al Centro Sperimentale per fare l’attore poi cambiasti idea, anche su consiglio di un grande insegnante, Andrea Camilleri, il papà di Montalbano. Quali erano stati in quegli anni gli attori e le attrici che ti avevano fatto venire il fuoco della recitazione?

Bellocchio: Io mi innamorai nel 1951/53 di Marlon Brando. Io ho sempre puntato a un cinema del realismo, perciò, quando venni a Roma, ebbi un po’ di diffidenza verso la cinquina d’oro, cioè Tognazzi – Gassman – Manfredi – Sordi – Mastroianni. Fu un mio limite. Non capii. Facevano grandi film ma anche le commedie, con le quali non mi relazionavo, mentre avrebbero potuto essere estremamente proficue innanzitutto per me. Me ne accorsi tardi. Solo una volta ho lavorato con Mastroianni e un’altra con Volontè, che però era un attore extra. Per esempio La Cina è vicina avrei potuto proporla a Tognazzi, poi di Glauco Mauri fui felicissimo, ma c’era una mia provinciale diffidenza verso questi attori che costituivano il c.d. box office, ossia un plafond da cui partire. È andata così.

Intervistatore: Mi racconti del tuo rapporto con Marcello Mastroianni, per Enrico IV.

Bellocchio: Io l’avevo incontrato qualche volta. Gli attori passano dei periodi di eclisse e poi di ritorno in auge. Ecco, lui era uscito da un film produttivamente disastroso, non fece una lira. Allora gli proposi di fare un film dall’ Enrico IV di Pirandello. Non essendo un momento florido per lui, accettò a delle condizioni abbordabili per me e per il produttore Enzo Porcelli. Era un uomo molto triste, impeccabile professionalmente. Aveva un grandissimo talento, genio non so, ma un talento enorme sì, perché non faceva nessuno sforzo a scandire e a dare significato, impeto, a ciò che diceva, tra l’altro con un testo sì di Pirandello ma rimaneggiato. Era molto riservato, dormiva poco, fumava ininterrottamente le sue Nazionali e amava stare con i giovani. Al mattino, si presentava al trucco, magari un po’ dormiva, ma era impeccabile nel lavoro. Certi attori acchiappano subito il personaggio. Io non dovevo dirgli molto. Andava per conto suo. Poi l’attore fa domande, ma con quel genere di attori si va avanti fino alla fine. Ho avuto un bel rapporto di sincerità con lui, poi, come spesso accade, finito il film, l’attore scompare, torna alla sua vita. Fu un ottimo rapporto.

Intervistatore: Arriviamo alla serie, una serie Rai, che hai diretto, Esterno notte, scritta da te con Ludovica Rampoldi, Stefano Bises e Davide Serino; Aldo Moro è stato interpretato da Fabrizio Giffuni; nel cast, Margherita Buy, Tony Servillo e altri attori. È la tua prima serie, Marco, no?

Marco Bellocchio ha diretto ‘Buongiorno, notte’ nel 2003 sul caso Moro e, nel 2021, la serie ‘Esterno notte’ con Fabrizio Giffuni, che era presente in sala durante il suo Incontro Ravvicinato.

Bellocchio: È un’esperienza nuova nata un po’ per caso nel quarantesimo dalla morte di Moro. Mi è parso interessante ribaltare il campo rispetto a Buongiorno, Notte. La serie, infatti, sta sui personaggi, da Cossiga finanche ai terroristi, che vivono esternamente alla prigionia di Moro.

Intervistatore: Marco, so che hai girato anche a Cinecittà e una scena su un set particolare…

Bellocchio: Sì. Ho usato un pezzo di ‘San Pietro’, costruito da Nanni Moretti per Habemus Papam, e credo già usata da Sorrentino, a meno che lui, invece, ne abbia usato/fatto un altro.

Intervistatore: Ci sono un’Italia prima del sequestro di Moro e un’altra successiva, proprio come Stone sostiene a proposito dell’assassinio di Kennedy, con un’America prima e dopo.

Bellocchio: Lo dicono gli storici che, con la tragedia di Aldo Moro, tutta una classe politica è andata in crisi e i partiti tradizionali hanno cominciato a boccheggiare. Ricordo quando ero piccolo Togliatti o De Gasperi, c’erano quei politici italiani – erano delle macchine formidabili, dal partito comunista alla democrazia cristiana – e la gente andava a votare. Così anche nel resto del mondo.

Aldo Moro fu assassinato il 9 maggio del 1978.

Intervistatore: Quando vedremo Esterno notte, ci sarà modo di ragionare su quello snodo della storia italiana. Per il momento grazie a Marco Bellocchio. (applauso del pubblico, ndr)

F3) Locandina di Esterno notte, la prima serie di Marco Bellocchio

Nell’immagine F3, il protagonista della serie su Aldo Moro interpretata da Fabrizio Giffuni.
Fonte: https://www.tvserial.it/wp-content/uploads/2020/06/esterno-notte-fabrizio-gifuni-aldo-moro-credits-anna-camerlingo-rai.jpeg

***

Incontro ravvicinato – Luca Guadagnino

Ottobre 2021

Antonio Monda incontra Luca Guadagnino e mostra gli spezzoni dei film che il regista definisce i suoi preferiti. Con sorpresa, forse, non solo mia, nessuno è diretto da lui. Non solo: il colloquio fra i due davanti a un folto pubblico pagante e accreditato, prenotatosi per tempo per trovare posto in sala, avviene esclusivamente con un intervistato seduto di profilo, rivolto tutto all’intervistatore e con il cappellino in testa. Direi non propriamente da lodare, anzi! Un linguaggio del corpo molto chiaro, cosa che il regista dovrebbe conoscere bene. Oltre a una frase che rasenta la polemica.

Monda: Abbiamo visto Starman, un film del 1984 diretto da John Carpenter con Jeff Bridges. Sono rimasto stupito, non dalla scelta che apprezzo, ma di sapere che sia fra i tuoi film preferiti.

Guadagnino: Questo è il primo film che mi ha reso consapevole di Bridges, che avevo già visto in Una calibro 20 per lo specialista. Quando vidi questo film, che rientra nel mio momento formativo, rimasi sconvolto dal suo alieno che impara a diventare umano. L’attore mi ha catturato. Molti anni dopo scrivevo alla fine dei miei film Special thanks Jeff Bridges, anche se non ho mai avuto il privilegio di conoscerlo, ma, essendone innamorato pazzo, forse è meglio così, resta intoccato.

Monda: Luca abbiamo appena visto uno spezzone di Zombi, un film del 1978 diretto da George A. Romero: ci sono degli autori horror che ti sembrano interessanti?

Guadagnino esprime ammirazione per una classe di cineasti di cui ‘alcuni piacciono ad alcuni’, come il giapponese Oshima, regista di ‘Furyo’, ‘Merry Christmas Mr Lawrence’ o dell’erotico ‘L’impero dei sensi’ del 1976, a proposito del quale afferma: ‘Non esiste qualcosa che non puoi filmare, dipende come lo filmi’.

Guadagnino: A me piace molto Mike Flanagan. E trovo Doctor Sleep un film bellissimo, che, a differenza di Zombi, entra nel folto del cinema post-moderno. Io mi ero pure candidato per farlo, ma mi hanno scartato. A me piacciono i film che non piacciono alla maggioranza. Sono un bastian contrario. Un altro che mi viene in mente è un capolavoro: Tlamess[7] del tunisino Ala Eddine Slim.

Monda: Hai detto di come giustamente sia necessario un incoraggiamento alla diversità. Non pensi che voi artisti in molti siete attenti, o costretti, a includere una quota di persone di colore o di altre minoranze ingiustamente maltrattate? Non nego la nobiltà dell’intento, ne faccio solo un discorso artistico.

Guadagnino: Penso che vada distinto il discorso fra il sistema industriale e quello artistico. Delle linee guida dal primo sistema arrivano e sono corrette, per quanto appaiano ottuse ad una prima lettura; sono uno strumento per scardinare le calcificazioni. Ma la domanda è: perché non è stato fatto prima nell’altro sistema, istintivamente dai registi stessi? Per esempio, Jonathan Lemmi lo ha fatto per tutta la vita, rendendo visibile l’invisibile e centrale il marginale. È che fare cinema per i registi è un mezzo per autoaffermarsi e prendere sicurezza. Il rischio è arrivare a pensare di essere un po’ migliori degli altri. Gestisci 30-40 persone, vai ai festival e tutti chiamano il tuo nome. È un mestiere pericoloso. Sto facendo una piccola confessione, forse parlo di me stesso… spero di no.

Monda: Stiamo parlando di te stesso da un po’…

Guadagnino: Intendevo che bisogna sempre guardare la realtà, declinarla uscendo dal privilegio

Monda: Parlami di questa scelta: lo spezzone visto è di La Mosca di David Cronenberg, del 1986.

Guadagnino: È un film d’amore. Per me, non esiste nulla di più viscerale. Nella scena vista c’è una interpretazione straordinaria di Geena Davis e Jeff Goldbrum. Parlo da regista: la cosa che guida la messa in scena sono gli attori, la loro capacità di osare in maniera profonda rispetto alla autodifesa, che ogni interprete mette davanti a sé prima di affidarsi alla macchina da presa. Dovevo fare un film tratto dal romanzo di Don DeLillo, Body Art, nel quale avrei dovuto dirigere David Cronenberg nella parte di un regista. Cronenberg aveva accettato. Poi non si è più fatto.

Monda: Abbiamo appena visto uno spezzone da Luna di Bernardo Bertolucci, film che fu un po’ sfortunato commercialmente. Quanto è stato importante per te nella carriera e nella tua persona?

Guadagnino: Ho fatto 50 anni ad agosto, è tempo di bilanci. L’ho scoperto nell’adolescenza. È il primo regista che mi ha sedotto con la sua capacità di affabulazione straordinaria. Io lo guardavo nelle interviste e sognavo di diventare come lui. Parlava 3 lingue perfettamente, come si vede nel film che ho fatto con Walter Fasano[8]. Aveva la capacità di interpretare il vero attraverso il filtro del cinema e della messa in scena. Ho letto recentemente una critica della famosa Angela Carter che stronca il film Luna, unendosi al coro – i film di Bertolucci contengono i tabù – ma con una capacità straordinaria. Ciò mi fa pensare a una cosa che amo e abbiamo perduto: il piacere di leggere delle critiche cinematografiche con la bellezza dell’autentica analisi del film, come quando le battute erano 10.000, non 300! (il pubblico applaude, me inclusa, ndr) Chissà, forse ce ne sono 300, perché le 10.000 producono correnti di pensiero. Tornando a Bertolucci, anche se un regista deve sempre porsi domande sul limite dell’irrappresentabilità, dell’autosabotaggio, del ridicolo di ciò che filma, ritengo vada ammirato quando, come Bernardo o Cronenberg, si assume dei rischi.

Monda: Di Bertolucci nei tuoi film è rimasto qualcosa, secondo te?

Guadagnino: Nel mio film Chiamami col tuo nome, ho trovato lo sguardo di uno degli attori in un momento del film, ripensando a un’inquadratura di Debra Winger in una scena del film Il tè nel deserto con John Malkovich. Sì, i modi in cui Bertolucci ritorna nelle cose che faccio sono mille.

Monda: Abbiamo visto Prenom Carmen di Jean-Luc Godard. Perché Godard e questo suo film?

Guadagnino: Quando il film è uscito, era vietato ai minori di 18 anni e io non potevo vederlo. Ero entrato di nascosto in una sala. All’inizio non ci avevo capito nulla, ma pian piano mi aveva fatto capire il suo schema basato sulle parole, sulla lingua. Godard, un cineasta che indica sempre la via di una resistenza politica fortissima. Quanto al film trovo sia meravigliosamente sovversivo.

Monda: Un aneddoto. Qualcuno c’era quando ebbi l’onore di ospitare qui Bernardo Bertolucci. L’indirizzo e il numero di telefono di un personaggio de Il Conformista sono quelli veri di Godard.

Il mio articolo sull’Incontro Ravvicinato con il cineasta: https://alessandrabasileattrice.com/wp-content/uploads/2018/05/intervista_bertolucci_basile_traders_nov2016-jpeg.pdf

Guadagnino: Sì, Bertolucci lo adorava.

Monda: Luca, perché uno spezzone da Viaggio in Italia di Rossellini con la Bergman?

Guadagnino: Questo è il mio film preferito di sempre, cui torno continuamente. Mi fa amare il cinema, anche se spesso sono sfiduciato per quello che vedo, il c.d. cinema della settimana. Non è un mistero, poi, che, rispetto a quanto è accaduto al cinema mentre crescevo, io non sia un amante di quello romano, anche se il cinema italiano è romano. Questo film è sull’impossibilità, sulla speranza e sulla necrofilia dell’amore – nulla di più definitivo, inteso come tema, della cristallizzazione del senso del cinema – ma ha la capacità di avere la suspense del thriller, grazie a come Rossellini gestiva l’inquadratura e usava la musica. Competeva con il miglior Hitchcock. È un pò triste vedere come la verità di Rossellini sia rimasta inascoltata. Noto come molti film, in modo ingenuo, tornino ossessivamente al canone Fellini. Fellini era se stesso, Rossellini era un pedagogo.

Monda: Perché, secondo te, è dimenticato Rossellini?

Guadagnino: Perché è complesso, attiva l’intelligenza dello spettatore e si connette in modo profondo e viscerale. È un regista popolare, ma non prova a sedurre il pubblico con il mezzo più semplice. La sua complessità credo sia meno intellegibile per chi desidera un’impressione mediata.

Monda: Grazie Luca!

Trailer Salvatore – Il Calzolaio dei Sogni: https://www.youtube.com/watch?v=wKv8A7X_lng

F4) Luca Guadagnino alla Festa del Cinema di Roma in un Incontro Ravvicinato

Nell’immagine F4, Guadagnino, il cui ultimo film è Salvatore – Il Calzolaio dei Sogni, su Ferragamo.
Fonte: https://news.cinecitta.com/photo.aspx?s=1&w=850&path=%2Fpublic%2Farticles%2F0087%2F87673%2F_DSF8738.jpg

Conclusione
Venezia, Roma, Torino sono tre delle città, oltre a molti altri comuni italiani, che ospitano dei film festival o, come nella capitale, delle manifestazioni cinematografiche non competitive di rilievo. E permettono così di diffondere la Cultura, unico mezzo contro l’ignoranza pericolosa, animare le Location che ospitano e le sale a disposizione, distrarre e far riflettere coloro che intervengono. Il tutto, l’ho già detto, ma è corretto ripeterlo, in un sistema di controllo e prevenzione anti-virus, dunque in attacco al Covid19 e alle temute varianti, ineccepibile o quanto meno di alto profilo. E un plauso va a chi sta dietro a queste organizzazioni, giustamente severe per il bene di tutti, di chi vi lavora e di chi vi partecipa. Perché, una volta per tutte, la libertà non viene meno con l’obbligo del vaccino, obbligo reso necessario dalle frange degli ignoranti no vax, ma nel momento in cui il Corona Virus assume il comando di interi paesi, spingendoli alla drastica misura del Lockdown. Libertà è vivere, lavorare, relazionarsi e tutto ciò che sta in mezzo e c’è un solo modo oggi per garantirla, non solo al singolo, ma all’intera collettività: il vaccino anti-Covid. Fatelo per l’Arte!

  1. https://it.wikipedia.org/wiki/Jack_Sparrow

  2. https://ilbegroup.it/

  3. Ripesca battute e si basa su formule poco interessanti, forse non di sfida e innovative come piacciono a Depp.

  4. La spontaneità è frutto di un duro lavoro. È un effetto non la partenza.

  5. Bellocchio nacque a Bobbio in provincia di Piacenza il 9 novembre del 1939

  6. https://it.wikipedia.org/wiki/I_pugni_in_tasca#Cast

  7. https://cineuropa.org/it/film/371388/

  8. https://www.nonsolocinema.com/Bertolucci-on-Bertolucci-di-Luca_28557.html

    Alessandra Basile

Attrice e Autrice. Ha collaborato con la Comunicazione Corporate di un’azienda. Ha una formazione in Life coaching (per un periodo ICF) e una laurea in Giurisprudenza. Presiede la Associazione Effort Abvp con la quale ha interpretato e prodotto diversi spettacoli teatrali a tematica sociale, fra i quali una pièce contro la violenza domestica, ‘Dolores’, della cui versione italiana è co-autrice Siae. Ha scritto ‘Films on The Road’, un libro sul cinema girato in Italia, edito Geo4Map. Scrive di film e spettacoli teatrali con l’occhio dell’Attrice, il suo primo mestiere, e intervista persone e personaggi, soprattutto del mondo dello spettacolo. Email: Alessandra.Basile@outlook.com Sito web: www.alessandrabasileattrice.com

Webinar: clicca per iscriverti gratis

Abbonati a Traders' Magazine Italia

A partire da 63€/10 mesi

Riceverai ogni settimana la versione digitale, di TRADERS’ Magazine

× Come posso aiutarti?