Sorpresa in tutto.
C’è un fenomeno curioso e mai accaduto prima, a livello mondiale, dovuto alla spaccatura in atto nel globo economico fra l’occidente e il resto del mondo.
Mentre in Europa, o negli Stati Uniti, per sapere il prezzo del petrolio o dell’oro, è sufficiente aprire una qualsiasi piattaforma e trovarlo quotato nel suo abituale prezzo in dollari, in altre parti del mondo petrolio e oro vengono scambiati in altre valute locali.
E’ noto il grande problema della Russia: ha trovato nell’India un Cliente di prima classe per il suo petrolio.
Peccato che si vede pagato il petrolio in Rupie, valuta che la Russia può accumulare come riserva, entro certi limiti, ma che difficilmente riesce a spendere.
Ma è solo un esempio.
La mattina presto del 19 aprile, in modo particolare fra le 2.30 e le 5.00 del mattino, sulle opzioni quotate dell’s&p500, la cui negoziazione era regolarmente aperta a quell’ora, abbiamo visto un picco di volatilità che stava ad indicare molto chiaramente che nell’area cinese c’era molta agitazione per l’Iran, appena attaccato da Israele sul suo territorio.
E l’Iran è fornitore strategico di petrolio per la Cina: che sicuramente non paga le forniture in dollari americani.
Così, nel mondo non-occidentale, e in quello di cui l’occidente ha perso il controllo, la diffusione di pagamenti di commodity in valute diverse dal dollaro si sta gradualmente diffondendo.
Quello che manca ai Paesi non occidentali che negoziano commodity in valute diverse dal dollaro è una borsa valori con prezzi di riferimento espressi in una valuta comune.
Nella prossima riunione di ottobre dei Brics, dopo un nulla di fatto nella precedente, verrà discussa ancora una volta l’adozione di una valuta digitale comune.
Quello che non aveva funzionato nella precedente riunione, di fatto, era l’aspettativa della Cina di diventare il punto di riferimento dei Brics con la propria valuta. Cosa che, probabilmente, non era molto piaciuta agli altri componenti del Club, che, desiderosi di liberarsi del dollaro, consideravano inopportuno di sostituirlo con lo Yuan, analogico o digitale che fosse.
Così, alla prossima riunione in ottobre, Russia, Sud Africa, India, Cina e Brasile discuteranno di adottare una valuta digitale comune, presupposto per poter arrivare alla sostituzione del dollaro nelle loro negoziazioni e, successivamente, per creare una borsa valori alternativa a quelle di Londra e New York per negoziare commodity.
La valuta digitale comune verrebbe garantita per il 40% da oro e per il 60% da un paniere di valute degli stessi Brics.
Quanto una valuta di questo genere possa avere come sottostante il 40% di oro, a me, personalmente, pare piuttosto difficile pensarlo, soprattutto per il processo di naturale espansione monetaria di una valuta dedicata a coprire le negoziazioni di commodity dei cinque Paesi.
Questa dovrebbe diventare, poi, la valuta di riferimento di cinque stati sovrani, con politiche e aree economiche estremamente diverse e tassi di inflazione abissalmente differenti.
Dopo avere visto l’adozione dell’euro su tanti diversi stati sovrani, sia pure idealmente uniti da un comune presunto ideale di Stati Uniti d’Europa, credo che nessuno meglio di noi europei possa esprimere i propri dubbi su tale soluzione, peraltro inevitabile se l’obiettivo è quello di sostituire il dollaro.
In definitiva, ciò che unisce i Brics non è di essere fra loro a favore di un ideale comune, ma contro qualcun altro: ovvero contro il vassallaggio monetario nei confronti degli Stati Uniti. Un collante sul quale è lecito avere qualche dubbio sulla tenuta a medio termine, specialmente con la presenza di una prima attrice protagonista come la Cina.
Nondimeno, al di là delle considerazioni sulla opportunità per i Brics dell’adozione di una moneta comune, il problema è quanto questo possa essere di impatto effettivo sul dominio del dollaro e, conseguentemente, sul processo che potrebbe portare una buona metà del pianeta a fare a meno dei dollari per le proprie negoziazioni di commodity.
JP Morgan, che, bisogna dirlo, non è nuova a previsioni catastrofiste mai verificatesi, ha più volte messo in guardia dalla terribile sinergia negativa dell’incremento del debito americano, giudicato fuori controllo, con la politica dei Brics.
Gli anni venti non potranno fare a meno di regalarci, si fa per dire, una crisi finanziaria, ormai divenuto fenomeno ciclico sempre più frequente.
E una crisi sul debito statunitense, verso la fine del decennio in corso, il tempo necessario a far maturare le politiche dei Brics e a far lievitare ancora di più il debito degli Stati Uniti, sarebbe cosa difficile da immaginare.
Speriamo, semplicemente, di non vederlo.
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Editore Istituto Svizzero della BorsaMaurizio Monti