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Tre fattori per scommettere contro la Cina

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Circa un anno fa su queste stesse colonne osservavo che il gap di crescita del mercato azionario americano rispetto a quello cinese era aumentato a valori di massimo storico.

Questo avrebbe fatto supporre un recupero dell’azionario cinese e, forse, un ritracciamento di quello americano, per riportare i valori a livello più realistico.

Negli anni venti, un anno vale come venti … e lo scenario è completamente cambiato.

Mi rivolgo ai grandi ammiratori dell’impero cinese, per dire che l’impero della fuffa verrà presto allo scoperto.

L’S&P500 è sceso del 13% e il Nasdaq del 21% da inizio anno. Ma in pochi parlano del mercato azionario cinese, che è più che crollato.

Se prendiamo a riferimento il CSI 300, molto ben rappresentativo del mercato azionario cinese nel suo complesso, ci accorgiamo che ha perso l’8% nel solo mese di aprile: la perdita mensile più forte in sei anni.

E’ vero, ad aprile il Nasdaq ha perso di più, ma stiamo parlando non del singolo segmento dei tecnologici, ma dell’indice che meglio rappresenta l’intero mercato azionario cinese.

Ad aprile, il principale responsabile della caduta è stata la (folle?) politica zero-COVID: tipica delle grandi dittature, sia nel principio che nel modo di attuazione. Chi si lamenta dei provvedimenti emanati dal ministro Speranza (e magari ha ragione, non entro nel merito) dovrebbe dare uno sguardo alla Cina, giusto per consolarsi.

Gli investitori globali stanno abbandonando in massa la Cina. Le partecipazioni in azioni cinesi da parte degli investitori stranieri registrano un saldo negativo da inizio anno di 4 miliardi di dollari.

La realtà economica è la solita tipica delle dittature: l’arroganza dei leader impedisce un serio confronto con la realtà.

In Cina rimane un problema gigantesco di bolla immobiliare, la più grande della storia, stimata in 53 trilioni di dollari, e un rallentamento dell’economia e delle borse aumenterà il rischio, finora scongiurato, che essa possa scoppiare, con conseguenze planetarie imprevedibili.

Ci sono almeno tre fattori che, se non rimossi, rischiano di appesantire ulteriormente il sistema economico cinese.

– Il primo fattore è l’anzidetta politica Zero-Covid.

Nel primo trimestre del 2020, mentre a Bergamo si portavano via le salme con i camion dell’esercito, e le borse occidentali vedevano un crollo epocale, la Cina non mancava di sbandierare il suo successo totale nel controllo della diffusione del Covid-19.

Si trattava però di una politica attuata prima della variante omicron, molto più contagiosa anche se meno pericolosa. La versione odierna del virus è obiettivamente molto più difficile da contenere.

I vaccini cinesi si sono rivelati alla lunga meno efficaci di quelli occidentali nella lotta contro il virus (checché se ne dica, smettiamo di raccontare balle per difendere l’indifendibile): questo ha contribuito a lasciare una vasta parte della popolazione cinese con immunità insufficiente o totalmente assente contro il Covid-19.

A fronte di questo, è avvenuto ciò che è la naturale conseguenza dell’ottusità delle dittature: il governo cinese ha raddoppiato la sua vocazione autoritaria e ha bloccato gran parte del paese, proprio come ha fatto due anni fa.

Shanghai, il più grande porto e centro finanziario del paese, è completamente chiusa: 28 milioni di residenti confinati nelle case per cinque settimane.

Per gli amanti della grande efficienza cinese, informo che cani robot sorvegliano le strade e droni nel cielo seguono i movimenti dei cittadini esortandoli a “Rispettare le restrizioni Covid. Controlla il desiderio di libertà della tua anima. Non aprire la finestra e non cantare”. Non cantare è il massimo, ammettiamolo: potrebbe attirare il virus.

Molte famiglie di Shanghai lottano per procurarsi il cibo. Agli anziani sono state negate le cure mediche (un modo per smaltire la popolazione dal rischio Covid, no?).

I 22 milioni di residenti di Pechino potrebbero essere i prossimi.

Mao Tse-Dong aveva fatto qualcosa di simile con la Rivoluzione Culturale degli anni ’50: infatti, oggi, decine di migliaia di cinesi, di qualsiasi età, sono stati inviati in campi di quarantena improvvisati. Anche se bambini, da separare dai genitori, ovviamente.

Zero-Covid si è trasformato in una campagna politica stile Mao, basata sulla volontà di uno solo: il presidente Xi Jinping, il grande genio di turno.

– Il secondo fattore è il crollo della crescita del PIL cinese

L’attuale obiettivo di crescita del PIL cinese è 5,5%. Ma è probabile che questo numero diminuisca ulteriormente man mano che il blocco dell’attività continuerà.

JP Morgan sostiene nella sua ultima previsione un 4,6%, questo significa che la Cina potrebbe fallire il suo obiettivo di crescita per la prima volta dagli anni ’90.

Il blocco delle attività sta comportando il crollo delle produzioni in fabbrica.

In marzo ed aprile, la Gigafactory di Tesla ha chiuso per sei settimane su nove. Le vendite di case, automobili, persino escavatori (indicatore importante per il settore delle costruzioni) sono crollate.

La chiusura del porto di Shanghai crea problemi di catena di approvvigionamento destinati a riverberarsi in tutto il mondo. “Made in China” sta diventando “merce scarsa”, da “merce economica” che era.

La bolla immobiliare cinese (ripeto la stima: 55 trilioni di dollari) sta crollando al rallentatore e se i tassi di crescita del PIL non saranno sostenuti, è possibile che il mercato azionario cinese continuerà a precipitare.

– Il terzo fattore di rischio è il crollo reputazionale.

La reputazione ha un problema implicito: ci vogliono anni per costruirla e basta un giorno per distruggerla. Putin ha qualcosa da insegnarci in questo senso, e i cinesi dimostrano di essere molto simili.

Il governo cinese, con il suo Politburo (organo decisionale del Partito Comunista Cinese, lo specifico per chi mi scrive dicendo che “i cinesi non sono comunisti”), ha promesso di “raggiungere obiettivi di sviluppo economico e sociale per l’intero anno”.

Se non fosse drammatica, sarebbe una frase da appendere al vetro del bagno in modo da sorridere un po’ prima di farci la doccia, per quanto essa suona ridicola in un paese che costringe gli abitanti a lock-down da follia per combattere omicron.

Li Kequiang, il secondo genio dopo Xi, ha suggerito che “le misure a favore della crescita dovrebbero essere accelerate, con tagli alle tasse e misure di sostegno da parte dei governi locali, in base alle condizioni del loro territorio”.

In realtà, l’adesione della Cina ad una politica zero-Covid con le conseguenze descritte sopra hanno solo posto in evidenza l’arroganza e l’ossessione di controllo da parte di Xi e del Partito Comunista Cinese (ricordo ancora, per gli smemorati: comunista).

Nei discorsi televisivi recenti, mentre Xi osannava “i fondamentali dell’economia cinese, la sua forte resilienza, l’enorme potenziale e la sostenibilità a lungo termine” che, a suo parere rimanevano invariati (anzi eterni, aggiungo io), si dimenticava di fare appena un cenno all’intensificarsi delle misure per contenere omicron.

Come già detto, le dittature non sbagliano mai, basta non ammetterlo. Ecco perché le democrazie sbagliano, perché è permesso dire che hanno sbagliato. Forse, dovremmo ricordarcelo.

Le notizie che ci arrivano da gestori di Hedge Fund sono univoche: tutti scommettono sulla continuazione del crollo dei mercati azionari cinesi. Forse, vale la pena di pensarci.

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Sto parlando di Daniele Lavecchia e se clicchi qui sotto puoi iscriverti e vedi la registrazione.

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Maurizio Monti

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